30/04/10

Хорошо!


Русский ковчег di A. Sokurov (2002)
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è un flusso filmico elegiaco dichiaratamente, apertamente, fisicamente dedicato all'arte, il cui luogo è l'Hermitage e i cui personaggi, storici o quotidiani, sono centinaia di comparse che impersonano tempi andati e andanti, Zar, Zarine, Ambasciatori, poeti e turisti; e, alla fine, nient'altro che turisti, di passaggio in fondo ai cieli.


The Russian Ark è una unica sequenza ininterrotta di 99 minuti; il sogno di Hitchcock si realizza pienamente solo 50 dopo Rope... e grazie a un Russo!

(sottotitolo casuale)











Avrei potuto svenire, se avessi visto questa scena proiettata su un grande schermo: non so come, dopo più di un'ora di questo flusso visivo, attraverso il fasto secolare più sfarzoso, questo preciso momento mi ha tolto il fiato:

Ho pensato ad una emozione ancestrale.
Al mio lettore potrei solo augurare una tale intensità emotiva e immotivata (apparentemente), da un qualsiasi momento di questo film infinitamente bello; che imita perfettamente il sogno, e questo è un fatto; il fatto che imiti il sogno di un Russo, ovviamente, limita le infinite possibilità dell'Idea essenziale, ma che il Russo in questione sia un amante dell'arte è un bene per tutti noi.
Il giudizio finale è che la russità e l'artisticità del film sono secondari rispetto alla perfetta tecnica oniromimica, della "Macchina" che parla, che osserva e ascolta, e che fluisce; questo è esattamente il punto di vista del sognatore, riprodotto con grande maestria da Sokurov e Büttner. La steadicam è la vera macchina dei sogni.

C'è un intero film sul making of di Russian Ark, su Youtube, sembra molto interessante, ma non credo che lo guarderò.
Non adesso, almeno.
Mi sembra quasi un peccato.

Pesantezza? Gonfiore? Bruciore di stomaco?

Ho potuto apprezzare per tre giorni di fila la gioia sintetica della diacetilmorfina; che è davvero troppa, perché il nostro fisico da cittadini possa accettarla come terapia di sostegno -essenzialmente contro le patologie mentali- ma è uno svago senza pari nella farmacopea, e come sempre ho ringraziato dal profondo il Dio delle Droghe per quelle poche ore di sollievo cosmico. Questa volta ho apprezzati anche gli effetti secondari, decisamente indesiderati, sul sistema digestivo, il che mi porta al tema di questo post spicciolo, sulla mancanza di una voce a questa tabella:

Che e la DYSPEPSIA; la canapa non solo favorisce l'appetito, ma anche ciò che ne consegue, è una sorta di stimolante dell'apparato digestivo nella sua interezza aborale. La dispepsia comporta a lungo andare ogni possibile disturbo della digestione, e come l'asma è una grave limitazione, un ostacolo insormontabile verso una vita "normale". O "decente". Posso giurarlo, la cannabis le tiene entrambe sotto controllo.

29/04/10

Verde speranza

How the Weed Won West di K. Booth (2010)
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La "droga", è uno dei Grandi Paradossi dell'umanità. Lo è diventato, da che le poche sostanze intossicanti dagli effetti benefici noti sono state etichettate come illegali.

Qui vediamo assemblate alcune delle problematiche che questa "droga" solleva quando il paradosso estremo, della liberalizzazione a fini terapeutici, viene reclamato a gran voce dal popolo; ma come, una roba che è vietata per la salvaguardia della salute pubblica viene sperimentata contro il cancro e l'AIDS? Anche l'utenza televisiva potrebbe essere insospettita da queste apparenti contraddizioni...

Quello che ancora mi chiedo è se verrà il giorno in cui non saremo più banditi virtuali, per aver scelta l'unica terapia valida contro asma, depressione, dispepsia, artrosi, glaucoma, cancro, stress e quant'altro. Se verrà quel momento in cui questa panacea sarà restituita al suo legittimo proprietario, l'uomo, contro gli interessi finanziari del suo spietato nemico, l'uomo.
Se ci sarò, quel giorno (e sarà grazie alla canapa se ci sarò ancora) potrò dire di avere avuta una ragione per esserci arrivato. Fino ad allora, sarò un blogger bandito, un fuorilegge, proprio come questi chicanos della California qui sopra.

Ma poi, mi chiedo, se la modella e lottaTTrice Shelly Martinez dice che l'erba fa bene:

come si può non crederle?

Il film si trova anche su YouTube.

28/04/10

L'orrore... L'orrore...

Ho pescato dal torrent questo

Calvaire di F. Du Welz (2004)

credendolo un altro horror Francese della Nuova Onda. Ma non è Francese, e non è un horror.
Di onde, poi, neanche a parlarne.
E' un film Belga, e se voleva essere un horror è un completo fallimento; se invece credeva di essere una black comedy è anche peggio.
Allo sciagurato cantante da ospizi Marc Stevens in tournée nel periodo di Natale si rompe il furgone nel bel mezzo del bosco; è l'incipit più trito della storia, però il suo ospite occasionale non sembra essere il solito serial killer bifolco, ma un pacioso ex-locandiere:

ed ex-umorista solitario, che di nome fa Paul Bartel...
A corto di consorti da qualche tempo, presto il brav'uomo si risolve di rapare malamente i capelli del cantante (per un motivo non meglio specificato) e di farne la sua nuova moglie; dopo un tentativo di fuga i dissapori tra gli sposini aumentano,

inducendo Paul a crocifiggere la sua dolce metà, ma solo per qualche ora. Poi gli passa.
Solo nel finale scopriamo il perché del fare insolitamente minaccioso di lui al bar, quando intimava agli astanti di stare alla larga dalla sua rediviva mogliettina:

nell'unica sequenza degna di nota, infatti, il branco di plebaglia armata approfitta brevemente della recentissima vedova, con una ripresa rotante dall'alto:

che riesce ad appiattire completamente la drammaticità della situazione.
Finalmente, per il prevedibile secondo e definitivo tentativo di fuga, si ricorre ancora al Nahon (V.) che si era intravisto prima al bar e si aspettava come arma finale, o deus-ex-machina, che risollevasse le sorti del film. Infatti eccolo:

mentre sprofonda miseramente nell'unica pozza di sabbie mobili del Belgio, dopo 5 minuti di inseguimento senza fiato né ritmo, e senza nemmeno aver sparato un colpo. A questo punto di solito scrivo "warning: spoiler", ma non è possibile rovinare questa roba.
L'idea meritevole di Calvaire è di far apparire all'improvviso i sette nani nel bosco

per qualche istante, quasi per caso. Ma questi 5 secondi di genio non compensano un'ora e mezza di un lavoraccio dozzinale e insipido e totalmente superfluo.

Il perché del titolo è ovvio solo dopo la visione: guardare questo film è un vero supplizio.

Acqua in bocca

In breve, il messaggio di




The living sea di G. MacGillivray (1995)
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è uno: tutti i mari sono un mare, e tutte le terre sono isole su questo mare che ricopre il mondo.
Confezione HD di un DvD IMAX, il documentario conta più sulla qualità che sulla quantità del materiale video; per l'audio invece c'è Sting a rovinare il silenzio degli abissi e la sinfonia delle onde, con le sue patetiche musichine finto-ascensore. Ma non si può avere tutto; basta abbassare il volume.

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The abandoned di N. Cerdà (2006)

ci sono due versioni di questa tizia nel film: viva

e morta:
Non saprei dire qual'è la peggiore.
Sotto-specie di thriller escatologico con zombies a basso costo diretto da uno spagnolo, scritto da un arabo, interpretato da un'americana e ambientato in Russia, ma girato in Bulgaria, conta molto sulle atmosfere decadenti della haunted house sperduta nella foresta, ma di fatto né lo scenario spettrale né tantomeno gli eventi che vi hanno luogo riescono a smuovere una situazione filmica in perfetta sintonia con la trama, morta. Ma terribilmente confusa.

Tutto quello che mi viene da pensare è che, trovandosi di fronte al proprio doppelgänger in stato di decomposizione nella casa natale abbandonata nella foresta russa, non sarebbe proprio il caso di scalmanarsi tanto e disperarsi di fronte all' inevitabile; tanto varrebbe attaccarsi alla bottiglia di vodka, e aspettare il momento fatale.

Del resto, cosa ci si può aspettare da uno che di nome fa Nacho?

27/04/10

Pericolo giallo

Ric O'Barry ha una grande tristezza dentro:

The cove di L. Psihoyos (2009)

ci racconta di aver fatto la bella vita quando lavorava per la TV, come addestratore dei delfini che interpretavano "Flipper". Poi una di loro, esasperata dalla prigionia, si suicidò; e questo cambiò profondamente la vita di Ric, fondatore del Dolphin Project e attivista da allora contro i maledetti musi gialli che insistono nel catturare e/o divorare cetacei


Avevamo già avuto un assaggio di questa specialità Nipponica nello straziante Earthlings; le immagini di quel film sono indelebili nella mia mente, e qui ho preferito skippare nei momenti salienti, anche se il film non insiste troppo sulle atrocità della mattanza

annuale di Taiji, come quell'altro.
The cove ci spiega perché fino al 2009 nessuno fuori dal Giappone sapeva di questo orrore:

perché già appena fuori da Taiji, in qualsiasi altra città giapponese nessuno ne sapeva niente.
E quand'erano convinti di acquistare della sana carne di balena al supermercato:

magari gli rifilavano del tursiope. Che a differenza della balena ha un'alta concentrazione di mercurio.

The cove ci dice che in alcuni paesi morti di fame, come i Caraibi, i Giapponesi costruiscono complessi industriali multimilionari per una pesca che non esiste, in cambio del sostegno per la caccia alla balena in Giappone; non essendoci pesce, gli indigeni ci stivano i polli:

Le sequenze girate nella baia del titolo sono state "rubate" malgrado tutti i divieti e la stretta sorveglianza delle autorità locali, anche grazie a tecnologie da 007 come le videocamere camuffate da rocce

e i visori notturni, che non sono serviti tanto alle riprese quanto a evitare la polizia.
The cove è un film coraggioso, ma tremendamente triste; il solo pensiero che dei terricoli moderni siano capaci di tenere rinchiusi in una vasca, o di uccidere, e di mangiare queste creature meravigliose, è a dir poco desolante; il vederlo filmato può anche essere doloroso.
Per fortuna, qualcun altro pensa a grattargli il pancino:

Mondo enigmistico

Ieri, in un attimo di stasi cerebrale, mi sono dato all'enigmistica Britannica (su crosswordsite e askoxford) scoprendo ad es. che lo "academic world" in UK si dice "academia", ciò che "involving electricity" è "electric", dopo "third" viene "fourth" , e altre affascinanti nozioni simili, che se non mi rivelano il significato di nuovi vocaboli (ciò purtroppo vale per la maggior parte delle definizioni non-elementari come queste) mi suggeriscono la magra realtà ludica della popolazione anglofona. L'unica sorpresa sta qui, in questa definizione di "Physician" per una parola di 6 lettere, che per gli enigmisti Inglesi non corrisponde a "Doctor", ma a Medico; medico nel dizionario inglese è un termine scherzoso e informale, con cui si definisce un dottore o studente in medicina.

Un addendum alla recensione di Synecdoche, N.Y., dove l'unica battuta di genere umoristico (che ricordi) è derivata dal doppio senso del termine stool, che definisce tanto uno "sgabello" quanto un escremento solido.
In Italiano suona più o meno così:
-"Credo che ci sia del sangue nelle mie feci."
-"Lo sgabello nel tuo ufficio?"
Temo che non sia altrettanto divertente nella versione doppiata.

Interno, giorno e notte

Synecdoche, New York di C. Kaufman (2008)


è uno di quei film per cui è necessario un antipatico aggettivo da critica cinematografica, che è pretenzioso. Con questo, si intende che la dimensione ideale del film non è proporzionata a quella definitiva della messinscena, e che malgrado tutta la buona volontà nel tradurre in immagini e suoni e voci una sceneggiatura interessante, anche uno squallido blogger di provincia è in grado di notare questo squilibrio. E' la storia di un tizio (P.S.Hoffman) che trascorre letteralmente la sua vita allestendo uno spettacolo teatrale sempre più smisurato, dove il confine tra il palcoscenico e la realtà filmica è uno specchio sempre più sottile, che infine svanisce. Durante questo processo, l'impapocchiamento raggiunge un grado di incomprensibilità allarmante, meritevole in sé, ma niente affatto coinvolgente.

L'idea della città-studio è straordinaria,


e nel caos dilagante si intravedono scenette da sogno

Il tour de force di Hoffman è notevole, fino alla fine

Tuttavia la cosa non sta in piedi; in questo moto apocalittico l'autore sembra non tenere conto dell' elemento indispensabile, il fattore ludico, che non dev'essere necessariamente tradotto in commedia, ma non può nemmeno essere del tutto snobbato come accade qui. Cosa assai strana, dal momento che in Inglese to play sta per "recitare" ma anche per "giocare", e una screenplay è una sceneggiatura, ma anche un "gioco da schermo"...
Synecdoche, N.Y. è a solo un passo dal Capolavoro; un passo che immagino sarebbe stato troppo lungo per la gamba di mr. Kaufman, quindi possiamo solo essergli grati per non averlo compiuto. Avrebbe potuto essere un passo verso la rovina. (O verso la Gloria, non lo sapremo mai)
Giudizio: di mediocre enormità.

Ancora nouvelle vague horror, con il peggiore della serie:


Frontière(s) di X. Gens (2007)

paragonabile solo a The devil's rejects (V.) per bruttezza, propone anche il medesimo scenario da country-horror all'Americana, con personaggi country-horror all'Americana, e una presunta sceneggiatura che non ha nulla da invidiare ai peggiori country-horror Americani. Ma è Francese; il fatto che lo si possa definire horreur à la campagne non migliora certo le cose.

Al contrario di Haute Tension (V.), qui la suspense è paragonabile a quella dei Teletubbies, ma il valore artistico è indefinitamente inferiore, così come la recitazione, a tratti imbarazzante.

Non riesco proprio a trovare un singolo aspetto positivo di questo film, che non solo è il peggiore degli horror Francesi visti finora, ma è anche uno dei peggiori horror in generale, e uno dei peggiori film visti di recente. Un film che per la sua sola appartenenza ad un genere promette qualcosa di simile ad un'emozione e, dato il genere, di una certa intensità, può essere discontinuo, irritante, eccessivo, e ancora può salvarsi fintanto che la cosa nell'insieme funziona in qualche modo; se invece, come in questo caso, tra un ammazzamento e l'altro ti chiedi quanto manca alla fine, non c'è speranza. Un horror noioso è un paradosso che non dovrebbe esistere, e il fatto che invece arrivi da Oltralpe mi delude oltremodo.
Come avremmo detto alle scuole medie, una vera Nonna di Ada.