31/05/10

About Nothing

Funny Ha Ha di A. Bujalski (2002)

è il film che più di ogni altro mi ha data l'idea di una fotografia estesa nella dimensione temporale; una fotografia digitale, non eccelsa, ma questo è secondario rispetto all'idea predominante.
Non succede praticamente niente, in Funny Ha Ha. Niente di proporzioni cinematografiche, niente per cui qualcuno si sognerebbe mai di scrivere un libro, o un racconto; è piuttosto il breve diario di una ventiquattrenne, che vede tizi, fa cose. Non saprei dire se è puro cinema, o se è davvero soltanto una fotografia da un'ora e trenta. Forse è soltanto una fantasia dell'autore, realizzata degnamente, mentre non mi esprimo sulla possibile fantasia, in sé.
In ogni caso, il risultato non è spiacevole, e l'unica parolaccia -in extremis- è dork(s). Questo ne fa un caso quasi unico nella storia del cinema.

L'unica vera-e-propria battuta del film, in un mix di silenzi e frasi di circostanza, è quella riportata da IMDB:
Marnie: Hey, if you could move anywhere, if you were moving out of here, just anywhere in the country, or anywhere I guess, where would you move?
Alex: I dunno. I guess a better question is: if you were thirteen feet tall, would you rather be that or have eyes on the stalks on top of your head?

Is that funny? Ha? Ha?
E' salutare dormirci sopra. Ma il mio giudizio finale è deciso: non-gay.
Vedremo il prossimo.
Forse.

Un altro momento

Una bella giornata, l'ultima di Maggio, quando mi accorgo che il mondo partecipa di quella stessa virtualità che gli ho sempre riconosciuta durante un'esistenza segreta, interamente iscritta nella virtualità dei tempi. In momenti come questo Qui, Ora. Momenti di silenzio surreale, che restano indisturbati nel perenne caos delle parole.

L'alta pressione incombente, il vento denso che trasporta i canti del cielo; rondoni, merli, taccole, piccioni... I nostri vicini codirossi hanno traslocato. Immagino.
L'estate riempie i cieli, giorno per giorno.

Questo momento silenzioso, è il momento della mia vita. Con il fumo che si stempera nell' atmosfera terrestre e il caffè che si intiepidisce nel tepore agognato. Il momento che è sempre stato, quello che ha ispirati i versi migliori per elevare l'illusione al dominio dello spirito umano; il tempo degli dei.
Ora lo sappiamo, il mio diario non è più segreto; è una quantità di energia elettrica codificata in bit, manifesta in caratteri ISO attraverso i pixels di uno schermo. Ora più che mai, come blog, il mio momento magico è ovviamente illusorio. Come ogni altra cosa che conosca.
Come blogger, questa quantità indefinita di energia elettrica si esprime nella completa virtualità del mondo alfabetizzato, multimediato.

Dopo un inverno interminabile come quest'ultimo, in una vita sempre azzardata e sempre più simile al film poco conosciuto di un Maestro, posso solo compiacermi nel togliermi un paio di calze extra, anche se non abito in California(V.). L'estate è un momento di sollievo, soprattutto.

30/05/10

Holy craps

California Split by R. Altman (1974)

is a film about playing. And, of course, the main characters play a lot.

They play cards, horses, whatever. I guess Altman didn't want to play that much with words; that this is just one bitter comedy about gambling, and the feeling that this kind of playing might be (felt) so close to what is called living. Sometimes, somewhere.

Maybe the movie is a little bit overplayed.

In California Split troviamo anche Bert Remsen, che prima non ho elencato tra gli uomini di Altman in McCabe, ma c'era, come c'era in Brewster McCloud e in Thieves like us, Nashville, etc. etc. Qui è l'occasionale Mrs. Helen Brown.

Robert Altman è uno dei registi più profondamente Americani della storia del cinema, egli ha davvero saputo catturare l'essenza caciarona (Altman=overlapping) degli statunitensi e la tristezza sotto la patina sgargiante dello showbiz, in questo caso proiettato nella dimensione più ferocemente ludica del gioco d'azzardo. Dunque è interessante leggere i nomi dei produttori di questa piccola gemma poco conosciuta della sua filmografia: tra gli altri ci sono due dei nomi più letti in assoluto dall'utenza catodica, quelli di Goldberg&Spelling. I due anti-divi del caso (o meglio, direi, un antidivo corsivo e un quasi-divo) si chiamano Gould e Segal. Questo può far sorgere infiniti dubbi meta-filmici e meta-cinematografici nel mio acuto lettore. Ma anche in questo caso io mi limiterò a postare una breve recensione sul film.

Ah, ecco, appunto: questo è anche il film d'esordio di Jeff Goldblum. Non è tutto oro...

Una domanda che mi assilla è: perché sotto il sole della California

Elliot Gould porta due paia di calzettoni?

Giudizio: giocoso, ma non troppo. Non abbastanza, per me.

Gidday!

Domenica; la sveglia più fiabesca è quella data da un cucciolo di codirosso che sta prendendo lezioni di volo tra i balconi sulla via. Il piccolo è nato e cresciuto in questo cortile, e per qualche settimana abbiamo seguito l'andirivieni incessante dei genitori con qualche insetto nel becco. Oggi è arrivato lui, in volo: ancora semisferico, una pallottola con le ali e senza le caratteristiche penne caudali arancioni; il suo stridio ad alta frequenza, che cerca di imitare i suoni dei grandi, mi ha svegliato, e inevitabilmente è stato lui il primo oggetto di interesse della giornata. Come posso constatare guardandolo giocare a nascondino, è pronto per una vita celestiale. Verrà il giorno in cui le creature del cielo ritroveranno la perduta sintonia cogli ominidi; credo che sia una condizione indispensabile per quella che (dopo qualche eone) chiamerebbero "età dell'oro", e anche se a ben vedere sarebbe soltanto uno dei sintomi di riappacificazione con l'organismo ospite, per qualche motivo nel corso degli anni questo interesse paradossale per i pennuti non fa che crescere.

Nel frattempo, leggiamo, dopo Dio (Ronnie James) ieri è morto anche Dennis Hopper. Il pantheon multimediale è a rischio. Persino il piccolo Arnold ci ha lasciati, un paio di giorni fa. Qualcosa sta cambiando in fondo ai cieli; a causa del terremoto in Cile i giorni sulla Terra durano un istante in meno; dopo la primavera più autunnale, il vulcano Islandese minaccia di regalarci l'estate più primaverile della (mia) storia. Non mi piace, lo ammetto; ma non ho nessuna voglia di discutere con un vulcano, per di più Islandese.

Le icone dell'iconoclasta / Mistero fitto

McCabe and Mrs. Miller di R. Altman (1971)
☻+

Film nuvoloso, ventoso, piovoso, nevoso, fangoso; uno scenario quasi-pythoniano in cui si muovono i veri pionieri Americani: giocatori d'azzardo e mignotte, come i due personaggi del titolo. Altman lo definì un anti-western; a me pare un western "iperrealistico" come nessuno aveva ancora fatto nel 1971; una sorta di docu-fiction dove tutti indossano quotidianamente costumi d'epoca e vivono sul set per 4 mesi, compresi i giovani carpentieri renitenti alla chiamata per il Vietnam, che durante le riprese costruirono una "vera" cittadina nei pressi di Vancouver:


Ci sono tutte le (in)solite facce da Altman:

l'esordiente, smilzo Keith Carradine (Thieves like us, Nashville)

il patatesco John Schuck (M*A*S*H, Brewster McCloud)

la surreale Shelley Duvall (Brewster McCloud, Thieves..., Popeye)

Michael Murphy (Brewster..., M*A*S*H, Nashville)

Renè Auberjonois (Brewster..., M*A*S*H )

Questa volta l'eroe è il famoso

Warren Beatty as John "Pudgy" McCabe, giocatore, piccolo imprenditore e magnaccia, probabilmente uno dei primi tra quest'ultimi a indossare la pelliccia e a sfoggiare un dente d'oro.
Notiamo che negli anni settanta ci fu almeno un altro dente d'oro memorabile, quello di Ryan O'Neal in Paper Moon (1973) e almeno un altro westerner barbuto, il Jack Nicholson -che abbiamo appena visto- in Missouri Breaks (1976) e in Goin' South (1978) --(come abbiamo già ricordato, a Jeremiah Johnson ha fatto lo scalpo Corvo Rosso... quindi non conta)-- Beatty è il prototipo di entrambi, e inevitabilmente è quello che finisce peggio dei tre. Il messaggio del film si riassume nella battuta dell'avvocato e aspirante governatore Clement Samuels (William Devane) al quale si rivolge McCabe, ormai condannato a morte dalla propria ottusa avidità:

"Until people stop dying for freedom, they ain't going to be free"

Parole sante che -guarda caso- riassumono con il giusto grado di ironia i miei pensieri mattutini.
Infine, non possiamo non ricordare la lei del titolo,

Julie Christie, as M.me Costanza Miller, che nel finale anticipa l'ambiguità della fantasia psichedelica indotta dall' oppio come matrice filmica, e ne fa la partner ideale di DeNiro/Noodles in Once upon a time in America (1984).

Il mistero di questa sera riguarda la nevicata a tratti patentemente posticcia che vediamo per quasi tutto il secondo tempo, la quale ha dato da pensare a vari utenti filmici su IMDB:

mi pare che in alcune sequenze come questa, dove gli abiti sono immacolati e i fiocchi fittissimi, regolari nella caduta e stranamente luccicanti, non ci siano dubbi su una doppia esposizione; mentre in qualche breve scena secondaria come queste

i fiocchi sono meno fitti e gli abiti innevati, e tutto sembra vero.

McCabe & Mrs. Miller è un'opera memorabile soprattutto per i leggendari sforzi della produzione, dove gli attori erano tutti chiamati a improvvisare attorno alle poche righe-guida del copione, mentre la cittadina sorgeva intorno a loro giorno dopo giorno. Un'opera pionieristica, di cinema grezzo, estratto dal fango in ogni condizione meteo inesorabilmente avversa, data la latitudine. I clichés che Altman intendeva sfatare, dell'avventuriero beone, tonto e solitario e della prostituta dal cuore d'oro, restano fatalmente legati a quella che possiamo immaginare come la realtà storica Americana del Far West; se non altro, in questo modo possiamo dare qualche spiegazione allo stato attuale delle cose sullo scenario globale.
Giudizio: vero cinema, malgrado il film.

Words for free:

CRUMPET> (a small flat round cake with small holes in the top, eaten hot with butter)
an offensive way of referring to people who are sexually attractive, usually women

BLUNDERBUSS> an old type of gun with a wide end

THAT hurts; ask mr. McCabe

29/05/10

Passaggi

Un paio d'ore fa, poco prima di svegliarmi una prima volta per poi riaddormentarmi, ho incontrato il mio Beniamino. Soltanto ieri, sfogliando i miei libris somni in cerca di ispirazione, mi sono reso accorto che la sua presenza nella mia vita onirica era forte quasi quanto in questa - quella verbale.
E' la prima volta che lo vedo dall'altra parte senza la possibilità di rivederlo qui...
Non cambia molto, per il mio lettore affezionato; per il blogger è sempre l'occasione per un post.

-- L'ultimo pensiero che ricordo di questa notte: quando è innamorato di una donna un uomo perde al 50% le sue capacità intellettive; quando finalmente incontra quella donna e inizia ad avere dei rapporti sessuali con lei, il rimanente 50% decade rapidamente.
Probabilmente è per questo che si usa dire "la mia dolce metà".

26/05/10

Playing Around

Le scene più buffe di

Toy Story 2 di J. Lasseter (1999)
☻☻

sono Mrs. Potatohead che infila dentro il marito un paio di occhi cattivi (angry eyes, just in case)

Mr. Potatohead esasperato dal chiacchericcio del dinosauro, che si toglie le orecchie

e di nuovo Mr. Potatohead che si infila gli occhi cattivi "alla cieca" (ovviamente, si è dovuto togliere quelli "buoni") e indossa invece un paio di scarpe

Infine, nei divertenti outtakes nei titoli di coda, la signora che riempie di play-doh il marito

Una menzione speciale al suono dell'arma ionica di Zorg, che è uno dei più esilaranti mai uditi.
Avevo già apprezzato questo raro "sequel migliore del n.1", che oggi mi capita in una copia Giapponese Matroska in full HD, ma sapevo di non sbagliare a rivederlo.
Giudizio: ludico.

The Missouri breaks my balls

Questa notte,

The Missouri breaks di A. penn (1976)

che ci propone una delle più aride "romance" (colle virgolette) della storia, ed è ricordato come uno dei film messi all'indice dall'AHA. Soltanto per questo, si merita tutta l'infamia da cui è afflitto, essendo un film con una bella fotografia, superstars del calibro di Nicholson e Brando (e H.D. Stanton=) in una storia di frontiera semi-crepuscolare e originale quanto basta.

Dove Jack nuota tra le pecore

e Marlon infila una cavalletta in bocca al dormiente Randy Quaid:

Entrambe buffe, a prima vista, se non che probabilmente Nicholson ha davvero "nuotato" su delle povere pecore, e Quaid si è davvero mangiato una cavalletta...
Dunque i miei più orrendi sospetti, che il coniglietto sia stato davvero impalato al suolo da Brando, e i cavalli davvero infortunati durante la rovinosa caduta, questa mattina si scoprono realtà grazie a IMDB. Ricordo l'aneddoto narrato da Calvin (Stanton) a Logan (Nicholson), di quando fuggì da casa rubando la mandria di cavalli del padre putativo, che aveva sparato al suo amato cane per aver leccata una panetta di burro... Alla fine è questo è il messaggio che ci giunge, non attraverso il successo ma attraverso il fallimento di questo film, apparentemente inspiegabile dati i suoi numeri vincenti: nuocere alla natura significa nuocere solo a sé stessi, malgrado l'artificiosità del proprio habitat e della propria vita in esso.
L'unica cosa buona che ci rimane del film sono la battuta di Randy Quaid -- "Life is not like anything i've seen before" -- e lui:

Speriamo che ne sia uscito intero... Per lui invece

non c'è mai stata speranza:)

Giudizio (del film): inaccettabile.

Le parole in omaggio con il film sono:
LEWD > referring to sex in a rude and offensive way
BRAND > in quanto mark made with a piece of hot metal, especially on farm animals to show who owns them - cioè "marchio" e non "marca"
STEER > a BULL (= a male cow) that has been CASTRATED
In questo caso, direi che sono 2 inaccettabili su 3.

25/05/10

Xenxo

Aldo Graziati, il direttore della fotografia in

Senso di L. Visconti (1954)
☻☻

era stato fotografo di scena per La belle et la bête (1946) a fianco del grande Alekan; sembra che abbia fatto tesoro di quella esperienza. Qui l'operatore alla macchina è Giuseppe Rotunno, che nel '63 fu direttore della fotografia de Il gattopardo, sempre con Visconti, e che da allora ci ha regalato capolavori come Satyricon (1969), Amarcord (1973) di Fellini e il Munchausen di Gilliam nell'88, solo per citarne alcuni.
Qui leggiamo che a seguito della morte di Graziati in un incidente stradale --verso la fine delle riprese-- e dell'idiosincrasia tra Visconti e il suo sostituto Inglese Krasker (they failed to click, appunto) Rotunno fu promosso sul campo a direttore della fotografia.

Fuori dagli interni sontuosi, arredi stucchi arazzi broccati cristalli gioielli e quant'altro

compresa la sig.ra Kentia


il campo di battaglia ci rimanda inevitabilmente al Barry Lyndon di Kubrick & Alcott,

dove l'elemento pittorico nella ricostruzione delle scene è lampante

E' un possibile prototipo del film di Kubrick che condivide la medesima vuotezza interiore, i temi del tradimento e della guerra, e dove è inevitabile lo sfarzo blasonato del set, così come un contenitore storico meno disastroso dell'attuale. Ad es., una guerra.
Altrettanto noioso, il prototipo Italiano non può vantare né lo sperimentalismo dei Lumi Zeiss né la ricercatezza dell'accompagnamento musicale; ma è venuto vent'anni prima, e già dopo venti secondi non mi sembra un paragone degno di ulteriore interesse nel mio post.

Un discorso a parte merita Alida Valli, che abbiamo vista da poco in The Paradine Case (V.) notando -di nuovo- alcune peculiarità tutt'altro che piacevoli.
Dopo averla osservata qui:

in alcune espressioni ed atteggiamenti a dir poco inquietanti

ho concluso:

che (anche) Alida Valli era un mostro abominevole, e più precisamente una Istriana. Ergo, se dovessi immaginare come abbia fatto a lavorare con Hitchcock, Reed, Visconti, etc., etc., non dovrei sforzarmi troppo nel solito gioco-di-parole. Ma non lo faccio.

Giudizio: Visconteo, come il castello di Pavia. Che non è più un castello, ma un museo.
In effetti "museo" si sposa molto meglio di "castello" a "visconteo".

Meteo Via Lattea

Prima che esca dalla mia mente per non tornarci, incollo qui le foto comparative della insolita trasformazione in atto su Giove:



Non abbiamo la minima idea di ciò che potrebbe significare, ma per certo sappiamo che significa qualcosa. Nel frattempo, sul pianeta terra è successa l'estate; ieri uscivo con maglioncino e giacchetta, oggi la t-shirt è il massimo che possa sopportare: da 18° a 28°, nel giro di ore.

Byûtifuru cinemâ / Giochi di specchi e fumo 2

Il mondo è il quartiere Tomobiki, e il centro del mondo è la casa dei Moroboshi.
Questa è l'apocalittica visione di

☻☻☻☻
che seppure derivato da un episodio della serie, a differenza del primo lungometraggio ha tutti i numeri e la consistenza di un vero film. E che razza di film.
Dopo un incipit catastrofico in cui Mendo porta il suo carrarmato personale in classe per i preparativi del festival scolastico:

in linea con l'esagerismo del serial, le cose cominciano a farsi confuse, quando il giorno del sospirato evento sembra non arrivare mai, e i preparativi al contrario si protraggono all'infinito. Mentre la risoluzione di questa prima parte rimanda al famoso giorno-senza-fine di Groundhog Day (1993) il film decolla rapidamente verso tutt'altra rotta, assieme al caccia-bombardiere di Mendo, con Ataru e i suoi compagni di classe aggrappati e incuranti della mancanza di ossigeno, senza fiato di fronte alla sconcertante verità della tradizione Hinduista che si rivela dall'alto ai loro occhi:

Più simile a Ranma ½ (1989) nello stile del disegno, il secondo film di Lamu riassume in sé tutti gli elementi più rilevanti della serie televisiva, a partire da un soggetto quantomeno originale, e ricco di spunti di riflessione sulla cosiddetta realtà -per come la conoscono gli abitanti della mia città, e/o quelli di Tomobiki- rispetto ad un cosiddetto sogno.
Il fattore psike-delico qui è in primissimo piano:

e un gioco di scatole Giapponesi ispirato dalla storia di Urashima Tarō e innescato dalla maledizione del folletto Mujaki ci mena a distanze siderali, fino alla dimensione genetica

e oltre, dove anche il sogno di un debosciato come Ataru si può realizzare:


Beautiful dreamer è una piacevole sorpresa, anche per chi -come il blogger- si aspettava una piacevole sorpresa, dopo il non eccelso Onri yû (V.) e soprattutto dopo una delle migliori serie a cartoni animate mai prodotte. Dapprima lento, malinconico e minaccioso, malgrado la familiarità dell'ambiente filmico, si dipana poi in un vortice di fantasie cosmiche, di gags metafisiche e gaie scenette turistiche:

L'unica pecca di questo gioiellino, se proprio dobbiamo trovarne una, è la latitanza della Nostra; mentre nella prima parte è l'infermiera Sakura a dominare le scene, il succedersi di eventi sempre più straordinari, che coinvolgono l'umanità intera (cioé, i personaggi di Tomobiki) non lasciano troppo spazio alla viridescente ninfa spaziale in bikini tigrato

penalizzata, come il suo tesoruccio, da un ulteriore cambiamento dei doppiatori italiani.
Ma non sono certamente questi dettagli che possono rovinarci la piacevolissima visione di un film che non ha nulla da invidiare ai migliori film non-animati in circolazione, per il definitivo stupore del vs. blogger anti-nipponico e misogino, di fronte alla straordinaria opera di una donna Giapponese. Ma è un caso molto più unico che raro, paragonabile solo a quello della leggendaria

Shinobu!

Giudizio: esorbitante.