Cidade de Deus di F. Mereilles (2002)
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Il primo dilemma sollevato da questa visione era chi fosse la donna non-stracciona che attraversa lo schermo dopo quell'uomo non-straccione che è (o meglio, che ho intuito essere, in una goffa apparizione à la Hitch) il regista; ricercando su IMDB il nome di quest'ultimo, lo trovo assieme a quello di una K.Lund, per inciso, co-director, la quale sicuramente non ha resistito a questa immane tentazione narcisistica. Non so ancora se quanto scrivo corrisponde ai fatti, ma per amore di cronaca e narcisismo intuizionale li verifico subito (IMDB non ne parla).
Bah, ci ho provato. Non so se riuscirò mai a verificare questa mia intuizione, ma per quanto mi riguarda la scoperta di una coregista femmina può bastare. Il film, invece, è un "Gomorra" brasiliano; ma siccome questo precede "Gomorra", avrei dovuto dire che "Gomorra" è un "Cidade de deus" italiano; se solo lo avessi saputo.... Sto diventando gomorroico? In ogni caso, la mia recensione di "Gomorra" appartiene a quel passato buio e abissale fuori dal Blog, che tutti noi vogliamo lasciarci alle spalle. Quindi.
"Cidade de Deus" narra le vicende di un giovane favelista attraverso due decenni; dal primo istante, soltanto osservando con quale attenzione egli segue lo svolgersi degli scellerati eventi attorno a sé, l'orecchio sempre teso con una eccitazione quasi sessuale, possiamo capire che alla fine coronerà il suo sogno di diventare giraffista, e che la sua storia verrà raccontata nel corso del film a seguire; anche se la sua ambizione non è tale, non mi piace scrivere spoilers.
Così infine, come previsto, tra sparatorie di varia natura e vicissitudini a tempo di samba, il Nostro riesce davvero a scappare dalla favela carioca chiamata "Cidade de Deus"; come rivelano i titoli di coda oggi egli vive in quella chiamata "Cidade de Sonia Braga", la baraccopoli donata dalla famosa attrice di telenovelas ai "giraffisti" poveri di Rio.
Non mi aveva colpito "Gomorra", da cui il brasiliano ha evidentemente attinto a piene mani, e non mi colpisce particolarmente questo, benché abbia vinto una cinquantina di premi in giro per il mondo; anzi, osservandoli in azione qui mi sono accorto che tutti i brasiliani poveri hanno qualcosa di gay nelle loro sembianze e/o negli atteggiamenti; non ho nulla contro i gay, nemmeno se sono negri, ma questa loro qualità contrasta decisamente il tentativo dell'autore di mettere in scena un film di miseria, disperazione e morte, pieno di polli da mangiare, droga da fumare e armi da sparare. Sembra quasi che tutti gli attori, malgrado la loro giovane età, non vedano l'ora di togliersi il trucco da straccioni morti di fame e violenti, per poter indossare parrucche e camicie di raso sgargianti e piene di volant e ballare la samba fino al collasso, mentre bevono capirinha... e mangiano feijolada. Tra un tiro di pallone e l'altro.
Non so, potrebbe essere solo una mia impressione. Chi può dirlo.
(Il titolo di questo post è di Gianni Morandi)