31/10/09

Uomini e topi -- e cani

Il "film" di oggi è:


Suburbia di PENELOPE Spheeris (1984)

L'immagine non è casuale; era talmente ovvio che il bambino ci avrebbe lasciato le penne per mano dei rednecks che l'ho aspettata per metà del film, mentre invece l'hanno tenuta per il gran finale. (WARNING: SPOILER)

C'è una sola scena impressionante, in questo film, quando i rednecks sparano ai cani rinselvatichiti; e dato che nel finale non appare la solita dicitura della protezione animali mi sono preoccupato per un attimo, almeno finché non ho letto questo illuminante commento a proposito su IMDB: http://www.imdb.com/title/tt0086589/goofs

(Probabilmente l'avrei visto anch'io, se non avessi distolto lo sguardo.)

E' davvero un brutto film, e ogni volta che vedo un film diretto da una donna capisco perché non esistono film famosi diretti da una donna. Comunque non è vero, c'è un'altra scena degna di nota, quando un giovanottissimo Flea sbaciucchia amichevolmente il suo topo di fogna e quello lo ricambia alla francese:

!!!
Lo ammetto, non potevo chiedere di meglio da un film. Di una donna.

-- Molto, molto meglio la puntata odierna di South Park, dove i Giapponesi vanno a massacrare i cetacei anche negli acquari degli USA... E non è da meno quella di Interview Project, dove il simpatico Chris Swartz esprime con forbita eloquenza il suo pensiero sul Grande Paese": "America sucks!" -- Incredibile ma vero, questa sera la "internet TV" ha battuto il cinema 2 a 0.
Abbastanza credibile, visto che era il film di una donna.

29/10/09

21 giorni dopo

Quasi per caso, i due protagonisti del più incantevole film d'amore decidono di incontrarsi, quasi per caso, a Parigi; 21 giorni dopo Before Sunrise vedo -quasi per caso, ma ho rimandato parecchio questo caso- Before Sunset :


☻☻☻

Che è un film di Richard Linklater (e la MdP non smette mai di seguire i 2 per la città, nemmeno quando si fermano). Temevo di vedere questo film, benché lo abbia visto in + di una "top 100" parecchio al di sopra di Before Sunrise. Un film che è, innanzitutto, un sequel.
Una parola che fa rabbrividire. In ogni caso, sono passati 21 giorni da allora; i protagonisti si sono conservati bene nel loro strato di bambagia mnemonica, a parte la ruga in mezzo alla fronte di Ethan Hawk (che, dice lei, sembra una ferita); e nella loro bolla di plastica con Vienna sullo sfondo e senza neve, in quella "realtà" amata per un istante che è il tempo del film (precedente) sono passati 9 anni. Dunque, il tempo del film corrisponde stavolta anche ai tempi sublunari delle due distinte produzioni; e credo che sia appropriato considerare Before Sunset come la creatura concepita dai due attori E dal regista durante la LORO breve love story viennese.

Guardando questo, che NON è una romance, ma una sorta di conseguenza per niente scontata del primo film, credo infine di aver capito perché mi è piaciuto tanto Before Sunrise; non è per le sue qualità filmiche intrinseche, ma per il ritratto più che verosimile, quasi-mockumentario, di due persone normali. E pensando a questo l'immagine che mi sovviene è quella di Al Pacino as "Lefty" Ruggiero in Donnie Brasco, seduto in tuta nel suo squallido salottino a guardare i documentari sugli animali.

Mi sovviene anche che io non ho mai avuto indizio di una qualche sorta di normalità, o affinità con un modello che si possa considerare una norma, senza cadere immediatamente nel mondo del bel canto... Oppure del cinema. Non è qualcosa che mi potrebbe mai mancare; ovviamente.
Oggi credo che soltanto la più completa follìa, quella in grado di cambiare una vita, quella che sembra travolgere ogni cosa in maniera irreparabile, e infine fluisce nell'oceano umano secondo natura, quella inverosimile patologia che chiamano "amore" (tra Lui e Lei) possa restituire un qualsiasi "senso", o significato, o semplicemente un motivo, per l' esistenza trascorsa in fondo ai cieli. In questo il terricolo riesce in genere a definire i limiti di una sua propria normalità, al di fuori della sua propria "logica" opprimente e della schiavitù quotidiana all'interno della Macchina Industriale... Etc., etc.
Lo fa (talvolta) creando qualcosa di simile a Before Sunrise; qualcosa che in termini biochimici si può paragonare alla alchimia, ma che spesso viene definita più romanticamente magia; come diavolo abbia fatto Linklater a riprodurre allora (21 giorni fa) con tanta accuratezza quella particolare illusione personale è per me ancora un mistero, ma il fatto che questo "numero 2" sia stato scritto a 6 mani con i due protagonisti ò un indizio importante. In ogni caso, ho capito se non altro quale fosse per me, personalmente, il Quid meta-filmico di Before Sunrise, il vero motivo per il quale mi è piaciuto fin troppo.

Il motivo per il quale invece mi è piaciuto, non troppo ma quanto basta, Before Sunset, è innanzitutto il titolo; noi traduciamo i due come "Prima dell'alba" e "Prima del tramonto"; io preferisco le versioni originali, dove si ripete la parola "Sun". Sun rise, Sun set. Non vi potete aspettare una vera critica cinematografica da un eliolatra; un eliolatra, inevitabilmente, vive al di fuori della logosfera in cui invia i suoi post. Benché viva "fuori dal mondo", è tra i pochi ad osservare ogni giorno la propria "deità" splendere nell'alto dei cieli; e più o meno scientificamente, o religiosamente, è quella stessa Entità maiuscola che permette la vita in fondo al cielo. Qui, e Ora.

In maniera piuttosto prevedibile, Before Sunrise era un film notturno; e -c'era da aspettarselo- Before Sunset è un film diurno. La notte è fatta per amare... Di giorno, i due amanti filmici si rivelano due attori ancora bravi, forse anche migliorati, che questa volta si sono scritti le parti; dal flirt dei ventenni alla rimpatriata dei trentenni; ammogliato lui, scrittore, accasata lei, con una carriera pro-ambiente davanti, entrambi con prole. L'episodio precedente è un ricordo vago (abbiamo fatto sesso?) e la vita "reale" incombe, grigia e implacabile per entrambi. Come per tutti, accoppiati o meno. Questo dunque è il nocciolo: la vita per me scorre grigia e tetra, e le mie notti sono fatte per amare il cinema. L'illusione industriale. Qualche lettore di queste pagine se ne sarà accorto. In questo Torrente, questo flusso continuo di dati cinematografici, è rara una sorta di emozione infantile, e non volutamente puerile, come quelle date da Linklater, e in part. dal "primo Before". Occasione rara, ma più che sicuramente irripetibile, in quanto tale. Dunque voglio considerare questa occasione falsamente casuale, forse forzata, e forse inutile, ma certamente non spiacevole; dove ho rivisto volentieri i 2 innamorati di quell'amore di film che è -e rimane- Before Sunrise, film d'amore. E, si capisce dall'inizio, quest'altro non lo è.

Dunque, che senso ha oggi camminare -21 giorni o 9 anni dopo, non fa differenza- per La Ville Lumière senza quella magia originale, di quand'eravamo tutti giovani e spensierati e anche un po' avvinazzati- che si finiva a scopare nel parco? E poi quasi si dimenticava? Insomma, questa volta non si teme la luce del Sole, che metterà fine a una breve avventura notturna e abbastanza illusoria da sembrare vera Magia. Questa volta si teme il suo calare, la sua estinzione. Non siamo ancora dei vecchi, ma se continuiamo così prima o poi ci arriveremo... Ecco dunque che il messaggio di Before Sun Set si rivela proprio come nel precedente, con l'arrivo dei titoli di coda. Non siamo + stranieri su un treno, ma vecchi amici in un salotto. Sorseggiamo un tè. E' strano, che come nel mio "film preferito", INLAND EMPIRE, è ancora Nina Simone che canta l'ultima canzone prima dei titoli. Ma non è "Sinnerman", è "Just in time":

Just in time you’ve found me just in time
Before you came my time was running low
I was lost the losing dice were tossed
My bridges all were crossed nowhere to go
Now you hear now I know just where I’m going
No more doubt of fear I’ve found my way
For love came just in time
you’ve found me just in time
And changed my lonely nights that lucky day
Just in time

Before you came my time was running low oh baby
I was lost the losing dice were tossed
My bridges all crossed nowhere to go
Now you hear now I know just where I’m going
No more doubt of fear I’ve found my way
For love came just in time you’ve found me
just in time
And changed my lonely nights and changed
my lonely nights
And changed my lonely nights and changed
my lonely nights
And changed my lonely nights that lucky day

E il film finisce. Dopo tutto, allora, mi è proprio piaciuto.


28/10/09

Una Storia Americana (Don't fuck up with Aragorn)

Infine, sono riuscito a scaricare il film giusto, anche se non doppiato:


A history of violence di D. Cronenberg (2005)
☻☻☻

La storia è quella degli Stalls, una bella famigliola-tipo di Millbrook, Indiana - USA; e questo è il primo indizio. Il film è stato girato a Millbrook, Ontario, CA.


Tutto sembra OK per tutti, a parte il figlio maggiore che viene minacciato da un bulletto dopo l'ora di ginnastica.

Papà Tom (Viggo Mortensen) ha una tavola calda, che un bel giorno cercano di rapinare:


Per i due malcapitati la fine è rapida e quasi indolore.
Divenuto eroe cittadino, Tom viene perseguitato dai media e da tre brutti ceffi, tra cui Ed Harris che insiste nel chiamarlo Joey; nel frattempo il figlio si vendica delle angherie subite a scuola, ma a differenza del padre si limita a malmenare il bullo -- e per questo becca poi uno schiaffone da Tom. Dopo una visita al suo locale, i tre gangsters fanno visita alla famiglia e pretendono di portare Tom a Philadelphia. Inutile a dirsi, Tom ne stermina due sul posto ma viene ferito da Ed Harris e sta per soccombere


Quando il figlio interviene e sistema la faccenda con un colpo di doppietta alla moda di Uncle Fester, alle spalle; e questa volta si merita un abbraccio del padre.
Infine il fantomatico Richie, di cui abbiamo solo sentito parlare, chiama Tom e lo invita a Philadelphia; Tom sale immediatamente in auto e lo raggiunge. Si trova così in un ufficio con il buon vecchio Bill Hurt davanti e due gorilla armati dietro:


Abbiamo saputo intanto che Joey Cusak è il vero nome di Tom Stall, ex-assassino della mafia Irlandese che si è rifatto una vita tra i bifolchi; la tessera mancante era William Hurt as Richie Cusak, il fratello maggiore. Che adesso lo vuole morto. Evidentemente.
IMDB ci ricorda che Hurt è stato candidato all'Oscar per questa parte, benché i minuti in cui compare sullo schermo si contino sulle dita di una mano piuttosto monca. In effetti un premio se lo sarebbe meritato: dapprima è William Hurt cattivo, che non si era mai visto prima; poi è il bravissimo William Hurt nella parte del boss mafioso semplicemente allibito dall'incompetenza del suo personale. Malgrado l'alta tensione del finale, devo ammettere che questa situazione mi ha divertito parecchio.
Purtroppo, e anche abbastanza prevedibilmente, Joey fa saltare le cervella a Richie, e le ultime battute del film sono altri indizi rilevanti:
"Jesus, Joey" dice Richie.
"Jesus, Richie" dice Joey.
Bang.

(WARNING: SPOILER)

L'ex-eroe ed ex-uomo-medio torna sulla scena del suo più grande delitto. A casa:


dove il resto della famiglia è riunito a tavola. Nel silenzio tombale, la piccola aggiunge un piatto per il paparino, il figlio gli passa il solito polpettone. Gli occhi tristi di lui cercano lo sguardo di lei all' altro capo della tavola, e un segno di perdono; le lacrime sul viso della moglie ci lasciano intendere che tutto è di nuovo OK per gli Stalls, benché di fatto il loro stesso cognome sia soltanto l'invenzione di un killer.

Una grossa differenza tra gli USA e il Canada, di cui Cronenberg è un fiero rappresentante, ci era stata illustrata efficacemente da Michael Moore nel suo Bowling for Columbine del 2002; benché in Canada, rispetto agli USA, la percentuale di gente armata sia financo maggiore, quella degli omicidi è indefinitamente più bassa. Gli indizi presenti in questo film Canadese, opera di un autore Canadese che ha sempre utilizzato il genere horror come strumento per una analisi psico-sociopatologica più o meno raffinata, sono sufficienti per azzardare l'ipotesi che questo sia un ritratto degli Stati Uniti quantomeno sincero, e tanto la trasposizione della scena Americana riprodotta in un omonimo -e anonimo- paesello Canadese, quanto il fatto che questo si trovi in "Indiana" (mentre nella graphic novel era il Michigan) possono avvalorare questa ipotesi. Che il sangue non mente; che i geni di quegli stessi parassiti sanguinari figli di mignotta che hanno sterminato i veri Americani sono gli stessi tramandati agli Americani di oggi; quelli che hanno una casetta di proprietà con giardino, l'automobile nel vialetto e due figli -- un maschio e una femmina. Quelli che vivono il Sogno.

Parliamo di quella zona virtuale di quella dimensione astratta che è il tempo: gli Americani di oggi non girano più a cavallo (a parte William Shatner) e probabilmente alcuni di loro sostengono le varie cause a favore delle riserve Indiane. Joey Cusak, dal canto suo, non uccide più la gente se non vi è costretto; non lo fa più per lavoro. E' un assassino pentito, in parte redento grazie al suo difficile ruolo di padre di famiglia; è diventato un "brav'uomo"; fa il barista. In effetti il "tempo" è la più grande delle illusioni dimensionali di questo posto, ma la sua espressione vivente Qui e Ora, il cosiddetto DNA, è qualcosa che in ogni caso non ci siamo costruiti da soli. Credo che il film di Cronenberg sia soprattutto questo: un apologo genetico del Più Grande Paese al mondo. Non per niente si intitola a HISTORY of violence; non è una semplice STORY.
E anche come film, non è niente male; peccato che sia tratto da un fumetto.
Americano


Prima del risveglio

Di questa mattina ricordo solo piccolissimi animali di varie specie dal corpo geometrico, squadrato; le loro piccole teste staccate che passo in rassegna, una dopo l'altra -- ricordo una zebra.
E io che dico a mia madre: "Ma come si fa a mangiare qualcosa che potresti baciare?"

More free tube

Mostly for some impossible acrobatic shooting -a CG possibility very often despised in this kind of movies- an almost-spooky-at-first realism of the characters and their acting (from a great motion capture work) and some very funny line (just sits there waiting... mocking us with its ... houseness)


Monster House by G.Kenan (2006)
☻☻☻

turns out to be way better than the over-overrated UP, and the scene above, where Chowder tries to stop the Monster House running after him by locking up the gate, is just hilarious.
(WARNING: SPOILER)
Strangely enough, as Halloween gets closer I find myself watching this Halloween-movie on Youtube ; too bad we don't have a little creepy victorian house in front of us here, but the umbearable horror of an old sleazy building hosting bank offices only. Is that kind of a monster that don't eat people alive, but just eat'em away in time, with its capitalistic and burocratic bleakness. Well, let's see what will happen there on Saturday night.

The great game

Così lo definisce Niles, il piccolo psicopatico protagonista di


The other di R. Mulligan (1972)

si tratta, appunto, di essere Altro; in questo caso un corvo, nella scena che meglio ricordavo di questo vecchio film. Il quale non serbava sorprese nel millennio scorso, e purtroppo non ne ha serbate per questo. Il piccolo Niles Perry, il cui fratellino Holland è caduto nel pozzo cercando di gettarci un gatto, ma del quale ha ereditata la malvagità con un anello (dito compreso) fa fuori in rapida sequenza il figlio del conestabile e l'anziana vicina di casa, poi si svaga rendendo invalida la madre e infine annega un neonato; questo fa infuriare la nonna, che invece di lasciarlo senza cena dà fuoco al fienile con il nipote dentro, immolandosi nell'impresa. Non mi sembra una trama particolarmente affascinante, al di là di quel Great Game insegnato dalla nonna, e attraverso il quale il bambino può diventare Altro che non sia solo un fratellino morto, per involarsi sopra l'America rurale degli anni '30, con tutti i suoi misteri poco misteriosi e di grana grossa.


L'unico mistero molto misterioso per me rimane quello che riguarda i due attori gemelli, dal muso inconfondibilmente sovietico Chris e Martin Udvarnoky, i quali interpretano i due gemelli protagonisti della scabrosa, imbarazzante vicenda, ma che di fatto non compaiono mai insieme nello stesso quadro; dunque, pur ammettendo che si volesse risparmiare il solito trucco fotografico dello sdoppiamento, che senso avrebbe dovuto avere mettere due bambini identici sullo stesso set per poi riprenderli uno alla volta?
E' un mistero che Mulligan si è portato nella tomba, assieme all'anello.

27/10/09

Normal Activity

Questa sera:


Paranormal activity di O. Peli (2007)

che ha un'ottima idea di partenza, forse migliore dei precedenti mockumentaries famosi: La Casa Infestata. Una coppia come tante, il timore e la curiosità di scoprire qualcosa d'Altro; una videocamera sempre accesa. Io davvero non saprei come costruire un intero film su questa base, che è fresca quanto esile; ma nemmeno l'autore di questo lo sapeva, e infatti il film regge fintanto che non c'è da mostrare qualcosa, perché malgrado tutta la suspense creata dalla telecamera di sorveglianza che spia nel buio, e i rumori misteriosi, qualcosa deve pur succedere...


allora il tutto rovina miseramente, e diventa quello che potrebbe davvero essere un "found footage", ma quel particolare della storia -della videocamera ritrovata- inventato assieme a tutto il resto, sarebbe anche l'unica cosa interessante del film, al quale non resta niente altro. Per quanto mi riguarda anche questo esperimento è fallito, ma immagino che grazie a miliardi di donnicciole tremebonde (e ai loro baldi accompagnatori) sarà un successo pari a Blair Witch Project. Ancora una volta, la maledizione del film inedito piomba inesorabile sul capo del pirata.

A proposito dell' essere umani /1

La mia espressione -elemento di fortiana memoria- è che il Segreto imposto sull'argomento ormai globalmente etichettato come "UFO" coinvolga tutti quegli aspetti non-materialistici dei quali l'umanità coeva è altrettanto ignara; che non soltanto la modificazione essenziale dell'essere chiamata "morte" non corrisponda affatto ad una cessazione, quanto ad una transizione verso l' Altro, in cui l'elemento sbrigativamente identificato come "alieno" partecipa in maniera decisiva, ma -ovviamente- che questa intera "proiezione olografica" in fondo ai cieli (o illusione materiale) esperita dall'essere umano a partire dalla propria sostanza fisica attraverso le attività sensoriali sia di fatto una sorta di messinscena ad opera di una entità ignota, destinata a rimanere tale in virtù del fatto che la sua manifestazione terrena (o materiale) ha luogo in una forma comprensibile soltanto nella realtà dell'essere umano stesso, nella sua stessa logosfera; che in questa architettura si celi di fatto il Mistero Ultimo dell' uomo, le cui implicazioni sono di tale gravità da giustificare tutti gli sforzi di ogni governo istituito -sotto il controllo delle religioni monoteiste- per negare ai popoli una conoscenza dello stato delle cose che contrasta in maniera assoluta con lo status quo della cultura materialista, e con tutte le falsità imposte come realtà definitive ed immutabili.

In quest'ottica vediamo riflessa ogni sorta di figurazione -in termini materialistici, incarnazione- mitologica dell'essere divino, a partire dagli antichissimi avatara della Tradizione Indiana (tra cui Krishna e Buddha) fino al più -storicamente- recente Gesù Cristo, attraverso la famosa saga di Egizi e Sumeri (così come vi possiamo riconoscere il principio oggi noto come "campo unificato", una semplice e inevitabile degradazione ideale del Grande Mistero); in ognuno dei casi religiosi, i ricercatori che oggi si dedicano ai fenomeni di esobiologia e paleoastronautica avvenuti nell'antichità tendono ad assimilare l'entità divina a quella "aliena", mentre in genere viene del tutto ignorato il fatto che delle stesse cronache descritte in termini simbolici, o allegorici (come nei sogni, e tutto ciò che elude la mera logica) partecipa la stessa genesi dell'umanità, che da chiunque o qualsiasi cosa discenda, in qualunque modo sia andata, e in qualunque momento sia successo, permane la stessa Qui, e Ora. Dunque il mistero non risiede nelle scritture sacre sepolte nella polvere dei millenni e riesumate quotidianamente per la nostra delizia intellettuale, ma nella nostra facoltà di ri-conoscere nelle esperienze quotidiane di questa manifestazione quella "verità" che non trova alcuna corrispondenza all'interno di questa logosfera globalizzata, se non in quanto semplice parola (o termine). Per fare questo, è necessario avere un certo grado di consapevolezza della illusorietà del nostro stato cosiddetto di "coscienza ordinaria", che ho già definito altrove come "incoscienza controllata", accrescendo la capacità di riconoscere il valore della visione intesa come azione del vedere E apparizione di immagini che costituiscono nel loro insieme la realtà mondana. Non dubito del fatto che qualunque ricerca nel campo della "coscienza alterata", a partire dall'attività onirica all'intossicazione, alla meditazione trascendentale, possa produrre qualsiasi risultato più valido della completa indifferenza, o della sottomissione volontaria alle influenze esterne, a partire dai mass-media.

In ogni singolo istante della nostra esistenza in fondo al cielo, in cui una "realtà esterna" viene percepita attraverso la mutazione di onde elettromagnetiche in uno spazio virtuale, e trasmessa ad un Centro in cui la forma grossolana mantiene la Essenza dell'essere definito "sé" (coscienza, psiche, anima, etc., oppure anche "dio") possiamo riconoscere la nostra appartenenza all'Uno soltanto riconoscendo tali variazioni come indifferenti rispetto al Centro stesso; manifestazioni di una natura che condividiamo attraverso la sua sola conoscenza, che in effetti ri-conosciamo come tali senza averne una conoscenza certa e invariabile. Ri-conosciamo ogni cosa e tutto attraverso il pensiero logico, e in questo giace il segreto "divino" dell'Intelletto universale, in quello stesso termine che per i Greci definisce la parola, o logos. Guardiamo un abito appeso: sappiamo cos'è dal momento che conosciamo questa parola, abito, che non lascia dubbi sulla sua significazione all'interno dei nostri processi mentali. Per un bambino di pochi anni può essere invece una forma umana disabitata, che chissà come rimane sospesa in quel punto; se una folata di vento lo muove, è probabile che scoppi a piangere terrorizzato. E questo mi riporta a citare il mio vecchio adagio poco popolare, secondo il quale in fondo al cielo l'abito E' il monaco. Così noi siamo "forme" all'interno di una struttura frattale assimilabile alle proiezioni olografiche, un insieme animato dalla medesima fonte energetica (un astro, nella sua interazione con altri corpi celesti); una forma fisica (cioè, manifesta) che in vario grado è interessata da ed interessa ogni altra forma che viene percepita come esteriore. Perché tutti i più famosi santi, i grandi saggi, i maestri spirituali del passato, hanno sempre condotta un'esistenza in genere appartata, con una particolare simpatia per il ritiro, per la solitudine? Perché solo in queste condizioni è possibile ri-conoscere sé stessi, e ottenere da sé tutti gli indizi necessari per avvicinarsi al mistero che da sempre l'uomo rappresenta per sé stesso. Soltanto il Silenzio racchiude la verità, e nel silenzio soltanto essa si esprime ed è percepita nel mondo illusorio degli "abiti" che coprono le nudità ideali, le parole; non c'è parola in grado di esprimere una singola verità oltre la parola stessa, così come ogni simbolo antico rappresenta soltanto sé stesso; e questa è l'unica verità che riguardi la parola.

Il suono, in sé, è l'entimema che unsice il principio induista dell'Aum e, in una forma assai più sofisticata, il Verbo cattolico; esprime la medesima forza creatrice interiore dell'essere nella pronuncia della sillaba sacra, presso i monaci Tibetani, come nelle nenie cantilenanti e nei canti corali delle messe cristiane; le differenze sono mi pare altrettanto ovvie, quanto la forma delle distinte espressioni verbali, benché in entrambe si riconosca la possibilità del "divino" di esprimersi in particolari condizioni, ovvero nell'ambito della ritualità dedicata -guardacaso- all'ideale "divino". Qualunque parola può corrispondere a una qualunque verità, dal momento che ha luogo una associazione di forze ed intenti; nondimeno, una bugia ripetuta all'infinito e da tutti diventa verità nel mondo delle parole in cui viviamo Qui, e Ora.

Quello strano naso di V...

L'unico ricordo preciso del sogno di questa notte è il naso di V..., seduta ad una tavolata di gente proprio davanti a me; ero come imbarazzato da quella ingombrante presenza, che le conferiva un aspetto addirittura inumano, mentre sicuramente il resto della persona non era cambiato.
Ho abbozzato qui un modello della proboscide umana su un modello 3d di mr. Francesco Lupo:


perché tentare un ritratto per intero sarebbe un'impresa.
Riguardo il significato di questo, ogni ipotesi è valida; certo è che V... non ha un naso simile nello stato di veglia, e non l'ha mai avuto nei miei sogni passati. A onor del vero, l'ultima volta che l'ho vista era su Facebook, qualche settimana (o mese) fa. La prima domanda sarebbe perché ho sognata questa persona; riguardo il suo naso ... Beh, non ho il minimo indizio, ma l'unico profilo simile a questo che abbia mai visto è:


il ritratto degli alieni atterrati alla base di Holloman nel 1964. Adunque è più precisamente il nesso tra questo nasone e quello del sogno il fattore X. Dubito che ne faranno un TV show.

26/10/09

La coscienza dei sottotitolatori

Mi sono sempre chiesto chi sceglie i sottotitoli per i film distribuiti in Italia. Questo:



In Bruges di M. McDonagh (2008)
☻☻☻

è altresì conosciuto come "La coscienza dell'assassino". Cosa diavolo significa? Perché aggiungere una frasetta simile sotto un titolo volutamente sibillino e stringato? Non è una libertà che accetto volentieri, da che Brewster McCloud divenne "Anche gli uccelli uccidono" e Jeremiah Johnson "Corvo rosso non avrai il mio scalpo"... Etc., etc. Ma certo quelli erano titoli, questo è dichiaratamente un sotto-titolo, e il fatto che includa la parola "assassino", ancor più di "coscienza" (tralasciando le ambiguità di articolo e preposizione articolata) lo giustifica pienamente da un punto di vista commerciale; che il pubblico non si lasci influenzare dalle voci su un certo contenuto filosofico, che assieme allo scenario romantico-fiabesco della cittadina medievale Belga potrebbero depistarlo, inducendolo a pensare che è un film senza assassini. Certo, è un caso di coscienza quello messo in scena magistralmente da McDonagh, ma è pur vero che si tratta della coscienza, martoriata dal rimorso, di un assassino. Quindi, se non altro, non è pubblicità ingannevole; ma è pubblicità. E se io avessi scelto di titolare il mio film -in cui si narra del caso di coscienza di un assassino- semplicemente, "In Bruges", non mi piacerebbe affatto che un qualunque impiegato della catena di distribuzione dei film Italiana ci aggiungesse sotto "La coscienza dell'assassino".

Per fortuna, non è così; me lo guardo soltanto, e tanto per cambiare me lo vedo tradotto -o meglio, sotto-titolato impunemente- e anche doppiato in Italiano. Mi accorgo così che è possibile tradurre 'fucking' in mille modi diversi, oltre il quasi-letterale "fottuto", aggiungendo tocchi di pittoresca italianità che non esistono nell'idioma Imperiale;


"cazzo di...", "...del cazzo"; "...a calci in culo", sono tutti succedanei del medesimo fucking in questo messaggio. E non sono certo sinonimi. Perchè sostituire fucking con fottuto, se questo non è inteso come aggettivo, è semplicemente impossibile, e gli Inglesi (e ancor peggio, gli Americani) lo mettono dappertutto, come il ketchup -ad es.- davanti a un verbo: "I fucking told you", come si traduce? "Ti ho fottuto detto"? No way. Qui ad es. nella frase diventa "Quella cazzo di camera", che -poverina- nell'originale non c'entra niente... Etc., etc.
IMDB ci rivela che "The word 'fuck' and its derivatives are said 126 times in this 107-minute film, an average of 1.18 'fucks' per minute"; ci possiamo solo immaginare il divertimento nel tradurre una cosa simile.
Fucking good movie anyway, I'm fucking serious.



E Ralph Fiennes è doppiato da Massimo Lodolo. Fucking great voice.

Nota: ho scaricato questo film e ho iniziato a vederlo convinto che fosse opera di Cronenberg; c'era anche Ralph "Spider" Fiennes... Ma non è così; quello è A history of violence, che suonava bene anche in Inglese, o era troppo simile ad un titolo tradotto in Italiano per tradurlo, o non avevano voglia di farlo. Comunque sia, adesso è in download.

25/10/09

Marziani in California

☻☻

Quando i Marziani descritti dall'Inglese H.G. Wells arrivano nella terra dei film, a Hollywood, U.S.A., vengono accolti dagli indigeni con la loro caratteristica mancanza di buon gusto:

Panini di pesce masticati a bocca aperta

Festicciole paesane con musica country
Colpi di cannone e mitraglia
Scienziati bellocci (e fumatori)
Bombe atomiche; e l'Arma Finale:
I preti

I Marziani sono nauseati e vilipesi
E decidono a malincuore di distruggere il pianeta

Ma di nuovo, la salvezza viene dall'op.orig. di Welles, e anche questa volta sono i "germi" presenti nell'atmosfera terrestre a sconfiggerli. Secondo alcuni sopravvissuti, sono germi che "dio nella sua saggezza ha messo sulla Terra"; secondo altri, germi assassini creati dal diavolo in persona.
Scoppia così la terza guerra mondiale, e il conflitto termonucleare; tutti i terricoli muoiono, e i marziani si possono finalmente stabilire sulla Terra, nel 1954. Gran bei tempi.

La Grande Sorella

Non ricordavo quasi niente di questo


La mort en direct di B. Tavernier (1980)
☻☻

a partire dalla presenza del mio idolo di vecchia data Harry Dean Stanton, qui con il co-protagonista -assieme a Romy Schneider- Harvey Keitel; un film Francese ambientato in Scozia; non manca Max Von Sydow a completare il quadro globale. Non ricordavo quasi niente, oltre agli occhi-telecamere di Keitel e il tema suggerito dal titolo, del decesso imminente.


Sono rimasto abbastanza deluso, devo ammettere, perché il soggetto, il cast, e persino le ambientazioni mi sono sembrate ottime per la composizione di qualcosa che non è questo; un senso di sospensione interdimensionale che è (stato) forse ispirato all'autore dal romanzo, di cui non resta che qualche indizio nella messinscena; di un film molto Europeo, molto decente.
Molto "pulito". A volte sembra più fastidiosa la mediocrità dell'assoluta indecenza. Non è così, presumo, ma questa è l'impressione a caldo. Certamente non è tra quei film che posso dire indimenticabili.

ASSALTO ALLA TERRA?

E' con questo titolo che fu distribuito in Italia

di G. Douglas (1954)
☻☻

l'unico film in B/N con il titolo a colori di cui sia a conoscenza.
E anche uno dei primi film con un messaggio anti-atomico, che avrà poi fior di concorrenti anche prima dell'era Nipponica, quando giustamente i musi gialli decisero di vendicarsi di Hiroshima e Nagasaki prima con Godzilla & Co., e poi con manga e anime.
Un disastro di proporzioni bibliche.
Them è interpretato da due bravi e famosi James dell'epoca, Whitmore e Arness, ma il vecchio Edmund Gwenn (che fu poi il Capitano in Trouble with Harry) li surclassa nel ruolo del professore di mirmecologia, indimenticabile nella gag con la radio dell'aereo:


Agent Peterson: "Say 'over'."
Professor Medford: "I just said it!"
A.P. "Oh no, say it again!"
P.M.: "Oh... Over!"
Etc., etc.

Notiamo anche la sottigliezza nella scena iniziale, con il ritrovamento della bambina che vaga per il deserto in stato di shock; quando il poliziotto si china su di lei, in un paio di fotogrammi, compare la testa rotta del bambolotto (di cui poi si troverà il pezzo mancante nel camper devastato dalle formiche). E' una visione quasi-subliminale che moltiplica il pathos all'ennesima potenza:



Insomma, alla fine si scopre che le formiche non c'entrano niente, e che la loro imbarazzante mutazione è stata causata dall'unica vera minaccia degna di un titolo come "THEM!" oppure anche "Assalto alla Terra": l'Utenza Umanoide.

24/10/09

Sono altairati i terricoli!

Mentre negli US sta per uscire Planet 51, dove l'invasore è un singolo terricolo, mi rivedo con piacere questo ennesimo classico Sci-Fi:


Forbidden Planet di F. Wilcox (1956)
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dove gli umani viaggiano in disco volante. Finora è il più evidentemente costoso e il più spettacoloso di questo mini-festival personale, nondimeno il più dipinto, in un tripudio di fondali, modelli, ricostruzioni in studio e matte painting notevolissimi, come questo:


Indimenticabile il robot-maggiordomo quasi onnipotente, dallo strambo nome di "Robby":


e dimenticato invece (da me) nel frattempo il giovanissimo Leslie Nielsen al comando della squadra spaziale:


che tutti ricordiamo canuto e con la faccia da stupido nella serie Naked Gun.
Forbidden Planet è sempre piacevole da rivedere ogni tanto, non per niente è uno dei film di fantascienza più famosi in assoluto, e purtroppo anche questo è minacciato da un imminente quanto inevitabile remake, mentre le majors continunano ad attingere da ogni sorta di fumetto o serial televisivo... Il film vanta forse la prima colonna sonora interamente elettronica della storia, e sicuramente una delle più irritanti.

Dulcis in fundo, è questo il mio primo avvistamento cinematografico nella mia breve carriera di lizard spotter; è solo nelle sequenze finali che si mostrano gli interessanti primi piani di Walter Pidgeon, cognome che in Italiano si tradurrebbe "piccione":


piuttosto ironico, se lo guardiamo bene negli occhi (cliccare x ingrandire)

El monstro

Erano circa 25 anni che volevo vedere questo film:


El espiritu de la colmena di V. Erice (1973)
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e ho sempre creduto che fosse in bianconero, per via delle rare fotografie viste nel corso degli anni; invece. Spirit of the beehive è uno dei "100% fresh" su Rottentomatoes, e si capisce perché; il suo scenario bucolico non ha tempo e non ha età, e il film vi scorre attraverso brevemente, catturando un istante di vita antica che potrebbe essere stata ripresa ieri. Nondimeno, è la vita di una bambina, attraversata dalla visione del film Frankenstein e dall'incontro con un soldato Repubblicano ferito, il "mostro". Sotto gli occhi incantati di costei e della sorellina, le immagini sembrano sempre sul punto di attraversare lo schermo, di sprofondare in una fossa o in uno specchio d'acqua, mentre si riversano chetamente nei nostri occhi incantati;
sembra inevitabile, che la tristezza dipinta così minutamente sui volti infantili trasformi una pellicola in un grande film. Non è così, e nel frattempo abbiamo avuti esempi a carrettate; ma nel 1973 questa magia funzionò con il sempre incantevole Paper Moon, e con questo; come aveva (parzialmente) funzionato l'anno prima, con The other di Mulligan. La cosa migliore, tra l'horror e la commedia, è la sospensione pre-mockumentaria di questo capolavoro Iberico, ultima opera di un grande fotografo che non sopravvisse alla propria cecità.
E intanto la piccola Ana (Torrente) è diventata un'attrice, ahimé:


23/10/09

Sogni proibiti



The secret life of Walter Mitty di N.Z. McLeod (1947)
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è una delle mie commedie Americane preferite, forse la mia preferita in assoluto; è anche uno dei primissimi esperimenti di "alterazione" filmica, in cui i sogni -a occhi aperti- del protagonista si accavallano alla sua "realtà" scenica. L'ingenuità genuina dell'epoca, e la bravura degli interpreti, sui quali giganteggia (come in Targets) un temibilissimo Boris Karloff, ne fanno un piccolo gioiello sempre piacevole da rivedere, una deliziosa alternativa ad ogni de-generazione con-seguente della commedia, come del film alternativo; che oggi raramente fanno ridere, o possono sorprendere ancora.


Su IMDB scopro anche che il film è minacciato da un remake ordito da Mike Myers; come sempre, sarà un motivo in più per apprezzare l'originale in futuro.
Per oggi mi contenterei di avere rivista -dopo decenni- questa chicca.

Il bambino più vecchio del mondo

Ieri sera, guardando The day the Earth stood still, mi interrogavo su un possibile motivo della mia anglofonia, coltivata sin dai tempi di scuola, ma sempre fuori dall'ambiente scolastico; vent'anni dopo guardo indifferentemente film e telefilm (Star Trek O.S.) doppiati o in lingua originale, perdendomi qualche battuta in caso di americanismo calcato, ma spesso arricchendo il mio vocabolario di Inglese con l'aiuto di internet (ad es. il rig(a)marole di The man from Earth, che per quanto ne so è anche l'unica sceneggiatura ad utilizzare un simile termine)...
Non ho trovata una spiegazione più valida oltre la possibilità di mettere in pratica questa conoscenza, utilizzandola ad es. per comprare del pane o della pasta (in ing. pasta) o per parlare di cinema (ing. cinema), ad es., about my 25 years old plots. Che mi pare un ottimo grado di invecchiamento anche per dei distillati filmici.
A meno che non abbia inizio una effettiva falsa-invasione UFO ordita dai Governi Imperialisti, come quella che potrebbero aver suggerita alcune visioni oniriche del passato, dove tale conoscenza potrebbe essere impiegata in qualche servizio di pubblica utilità; ma, almeno per oggi (venerdì 23.10) lo escludo.

Invece, dopo qualche giorno (o settimana?) l'unico ricordo positivo che mi rimanga del film Låt den rätte komma è quello del fiabesco maglioncino di peluche rosso del protagonista, che almeno dai tempi del liceo è l'unico capo d'abbigliamento che vorrei indossare malgrado non lo possieda. Una ricerca sul web mi ha rivelato che un simile capo è quantomeno raro anche nel campo dell'abbigliamento per l'infanzia -perlomeno a queste latitudini- e praticamente introvabile per un adulto. E' un simbolismo industriale, che a questa età mi fa riflettere; è qualcosa che non ho mai desiderato da bambino, o da ragazzo; oggi sarei disposto a pagare anche le spese di spedizione per averne uno, ma il prodotto semplicemente non esiste; è un motivo in più per detestare un mondo pieno di fabbriche di maglioni e di peluche sintetici, dove non esistono fabbriche di maglioni di peluche, ma anche per considerare la mia realtà psicopatologica nella sua più intima essenza, a partire dal desiderio.
E sicuramente non è un buon argomento per un post.

22/10/09

Il giorno in cui la Terra diventò un fermo immagine


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è un vero capolavoro, soprattutto se visto a breve distanza dai + banali -quanto pittoreschi- lavori dell'epoca; e in part., dopo la visione del rude Bamboo Saucer, prodotto vent'anni dopo, ma che sembra un prodotto di vent'anni prima. Oserei dire che The day the Earth stood still è un film elegante, privo di forzature e trovate ad effetto, com'è subito evidente dall'alieno di Michael Rennie con il suo aspetto più-che-umano, lontano anni luce da tutte le gommosità tentacolari dell'epoca, così come del fedele Gort, una figura che intimorisce, ma non spaventa


e ha un design assolutamente moderno ancora oggi

Per non parlare dell'abitacolo del disco, talmente futuristico che il particolare della tastiera di plexiglass illuminato internamente verrà usato ancora in 2001: a space odissey (1969) durante la famosa scena della "morte" di H.A.L.


(una tastiera che non dev'essere nemmeno sfiorata)

Un film tanto bello che sessant'anni dopo sembra un remake stilistico del genere di The man who wasn't there, ma che purtroppo ha subìto un remake vero e proprio molto facile da dimenticare, nel 2008 (dove solo il ciclopico robot mantiene in parte l'eleganza dell'originale).
Nondimeno, è un'opera che all'interno di questa maratona dell'Altrofilm mi ricorda la mia illusoria quanto inesorabile cattività in fondo ai cieli; il sentimento di malinconia abissale dello straniero in un mondo straniero:


espressa in questa memorabile sequenza dell'Alieno che cerca casa a Washington, D.C.
Anche in questo caso, la scelta di una persona pressoché ignota al grande pubblico è stata determinante per la buona riuscita di un film con uno sconosciuto per protagonista.
Indimenticabile anche la poco hitchcockiana, quanto suggestiva, soundtrack fra violoncelli e teremin, del grande Bernard Herrman.

Fuori, e dentro lo schermo

Ogni volta, una camminata forzata attraverso questa città è un calvario; non c'è nulla che possa apprezzare di un cumulo di case attraversato da strade piene di macchine; e non è possibile che gli abitanti di un posto simile mi possano piacere, a meno che non siano depressi cronici alienati, e il + possibile fumati; come lo sono io. Ma questo vale per ognuno di questi cumuli di nuove macerie che la gente chiama città, e di questa robaccia è pieno il mondo. Odio questo posto dal momento in cui ci ho messo piede, 27 anni fa. Ancora una volta, in un momento di vago realismo, non mi chiedo come ho fatto a resistere tanto, ma come riuscirò a farlo per altri 5 minuti; e ancora una volta lo posso fare solo scrivendo: questo.

Non è una grande prospettiva, quella di rimanere chiusi in casa pur di non vedere lo schifo che si ammucchia là fuori, giorno dopo giorno; ogni giorno una nuova automobile venduta, una nuova casa costruita. Un nuovo straniero immigrato. L'auto-reclusione non è una gran prospettiva ma è sempre l'unica possibile, da 27 anni a questa parte; per non vedere che gran mucchio di merda è questa città come ogni città, e che razza di merda deve essere la gente per rimanere a viverci senza mai cambiare nulla; per comprare una macchina, e una casa. Lavorando in cambio di pezzi di carta con cui sostenersi, ripararsi, prolificare; sfornare nuovi condannati alla medesima pena, all'infinito. Non è il grande sogno Americano, quello che vivono i nostri compatrioti moderni?
Resto del parere che a tutt'oggi soltanto Lynch è riuscito a mostrarne la realtà onirica, che non è l'"incubo" tra virgolette tratteggiato da Altman, ma l'Incubo maiuscolo di cui sono spettatore qui, nella estrema provincia del mondo, nelle lande coloniali. In un paese che assomiglia a uno stivale.

Ogni volta che sono costretto a uscire di qui, a camminare per queste strade infami, vorrei non avere nessun posto in cui tornare.
E poi mi ritrovo sempre qui; immerso nelle parole fino agli occhi.
Grazie all'internet il programma di evasione forzata è migliorato, ultimamente. Quello che un tempo era festivo e dispendioso, il Cinema, oggi è quotidiano e quasi-gratuito; e non impone il suo palinsesto, anche se a volte le scelte personali non sono migliori di quelle coercitive.
Oggi, non certo per caso, l'ennesimo Altro-Film, che non per caso tratta di "passato", come (guarda caso) quello di ieri, ma in forma di memorie scritte. Diari, appunto. Che è sinonimo di giornali, malgrado le nostre abitudini; perché io dovrei scrivere un "diario", che si scrive ogni dì, mentre solo i parolai di professione scrivono tutti i giorni su un un "giornale"?
Oppure anche, perché non un "diale", o un "giornario"?

Il film è l'ennesimo jigsaw cinematico:


The butterfly effect di E. Bress e J.M.Gruber
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e anche qui non c'è il più vago indizio di una interiorità lynchiana, non un richiamo all'unità filosofica, o stilistica, e tanto meno spirituale. Ma se non altro qui l'Altrezza non è di origine tecnologica, né controllata, e il possibile fattore supernaturale resta sottinteso nella messinscena; sono elementi che accomunano questa visione alla mia visione quotidiana, o diaria, di un incubo reiterato oltre ogni possibile sopportazione, quand'anche la mia umanità nel sostenerlo è ormai la prima cosa di cui dubitare.

In una manifestazione frattale, una regola primaria e proprio ciò che afferma la tagline di questo film, come ha modo di constatare il protagonista: "Change one thing, change everything"; ogni singola parte influisce sul tutto, in ogni sua modificazione. E' un caso filmico, quello in cui un dono o una maledizione permettono all'individuo di modificare il tutto a partire da un momento già trascorso, anche senza l'aiuto del Governo e di Val Kilmer; resta un caso squisitamente letterario, quello di chi non crede in alcun passato che non sia vegetale, e continua ad illudersi che Qui e Ora sia il suo istante, in cui guardare un incubo che non gli appartiene in alternativa al suo proprio; lo fanno in molti, da molto tempo, probabilmente da che è nata la scrittura, e con essa la parola "storia"; insomma, ancora una volta è la storia dell'uomo che vediamo rappresentata qui, in un modo o nell'altro, e sempre tanto + esattamente, quanto più la sceneggiatura cerca di essere incomprensibile. E ancora una volta, malgrado gli evidenti sforzi, non è abbastanza per competere con una fottuta mattinata qualsiasi, di questa vita da blogger.

Double Feature

Che ci creda o meno, sono già stato su questo scenario:


Deja Vu di T. Scott (2006)
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e lo ricordo come se ci fossi stato ieri (era il 1997) Sono dunque immagini che fanno parte delle mie memorie, come di questo film che -non certo per caso- si intitola "dèja vu"; dove Denzel Washington è un coraggioso agente dell'ATF che sacrifica la sua vita per salvare le centinaia di vittime di un incidente già avvenuto, grazie alla tennologia segreta del governo USA. Ovviamente riesce nella sua missione disperata, e meno prevedibilmente (WARNING: SPOILER) non muore nemmeno. Non capita certo per caso -malgrado conoscessi soltanto il titolo di questo film, pescato ieri notte- che qui si esplori la Dimensione Suprema della nostra illusione olografica, sulla quale abbiamo avuto modo di riflettere nel pomeriggio con l'opzione più "umana" dei Surrogati di Surrogates; quella dimensione che nella completa virtualità teorica delle nostre menti racchiude le tre dimensioni della sfera materiale, il così detto "tempo". Questa storia in particolare, orchestrata con la solita pomposità scenica da Tony Scott, non ci rivela nulla di particolare, sull'insondabile realtà delle trame spaziotemporali - non più di un episodio di Back To The Future- se non che la possibilità fantastica di percorrerle al di fuori dello schema ignoto che è la nostra esistenza ne può rivelare l'inconsistenza essenziale, ed un più vasto e più ignoto orizzonte di cui soltanto oggi possiamo intuire la vastità; come sempre, quella che siamo pronti ad accettare come "realtà", e che in questo caso assume i toni apparentemente grigi e cervellotici della meccanica quantistica, è sempre indefinitamente più "incredibile" di qualsiasi opera di fantasia umana ma ancora, per il momento, il mio caparbio tentativo di rifiutarla in quanto tale, per comprenderne la vera natura oltre il velo dell'illusione, ha creato soltanto un ennesimo blogger che scrive su blogger.com, dopo una vita intera da diarista. Non è una carriera che possa augurare a chiunque, dal momento che le sceneggiature per film di fantascienza sono senz'altro + redditizie, e per scrivere l'una o l'altra cosa occorrono i medesimi simboli alfabetici.

Comunque sia, credo di aver intuito il motivo per cui la parte dell'attentatore patriottico è andata a un inedito Jim Caveziel tatuato; che in ogni caso, alla sua miracolosa apparizione sullo schermo il pubblico Americano, estatico, avrebbe esclamato:


Jesus Christ!

L'altro feature di questa sera è un filmino incredibilmente naive:



The Bamboo Saucer di F. Telford (1968)
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Dove scienziati Russi e Americani si ritrovano alleati contro i Cinesi durante la missione segreta di retro-ingegneria per il recupero di un disco; che fanno volare, come si evince dall'immagine.
A suo modo, anche questo titolo misconosciuto è parte del filone "Altro"; ma ancora una volta, si tratta di un fattore ambiguo all'interno dell'architettura psico-patologica della mia esistenza terricola, destinato a rimanere tale fintanto che l'unico termine per classificarlo sarà alieno.