30/07/10

Hey, my

Non classificherei

Human Highway di N. Young e D. Stockwell (1982)

come "film";

il fatto che sul set ci sia un attore di professione come Dennis Hopper

e Dennis Hopper

o il co-regista Dean Stockwell

e Dean Stockwell

non ci rovina la novità di un film amichevole, alla mano, che ha poche pretese di dire qualcosa, mentre è ovvio che tutti si sono divertiti un mondo a girarlo perché la roba era tanta, e sicuramente buona, di qualità hollywoodiana

Neil Young fa il meccanico ritardato mentre il sempre soave e sgargiante Dean fa il nuovo proprietario tirannico di uno scalcinato fast food; i Devo fanno i Devo

che ovviamente trasportano bidoni radioattivi, e cantano di conseguenza

con dei tubicini nel naso

e con la partecipazione straordinaria di Booji Boy;

le mosche luminose sono qualcosa di suggestivo

e il barman/cuoco Dennis ha degli amici molto simpatici

come pure il meccanico Lionel

poi una chiave inglese che gli cade in testa trasforma il secondo tempo in un trip lisergico

che coinvolge anche dei Nativi Americani danzanti attorno al fuoco

e si conclude con una devastante cover di Booji Boy che miagola "Hey hey my my":

mentre il popolare rockettaro attore/regista/garagista si produce in una serie di spasmi elettrorgasmici di rara intensità per 10 minuti; esilarante, verso il finale, se osserviamo la testa di Mothersbaug ridotta a quella di un pupazzo meccanico:



Giudizio: video

The Aussie Big Fail

Posso giurare che ho cercato di vedere questo

Go to hell! di R. Nowland (1997)

il quale, malgrado sembri il risultato di un compito in classe di una scuola speciale, con alcune scenette porno in omaggio, ha qualche idea che per circa 13' sembra poter valere tutta la pena della visione, come quella di tale G-D che trasferisce l'umanità su un pianeta lontano dopo la distruzione di Terra per ricominciare tutto daccapo...

Ben presto però la completa mancanza di talento dimostrata dall'autore e dall'intero cast ha il sopravvento sulla capacità di sopportazione, per cui un cartoon disegnato con i piedi, animato come un gif, doppiato in un garage da attori assai poco professionisti (e aussie) infarcito di volgarità gratuite, con musiche brutte ma strampalate, e perdipiù in un divX di qualità audio-video pessima, non può valere la pena di essere visto nemmeno se ne andasse della mia vita; che dopo questo quarto d'ora -se possibile- vale ancora meno.

Su IMDB scopro che l'autore di questo crimine filmico è anche tra i responsabili del non meno squallido, ma più familiareThe Popeye and Olive Show (1978/83) che Mediaset ha propinato per una vita ai suoi giovani quanto infelici utenti...
Quest'uomo è una mina vagante, ma per fortuna è inattiva dal '95.

Giudizio: da mettersi le mani nei capelli.

29/07/10

Specchio delle mie brame

Questa sera


Rhinoceros di T. O'Horgan (1974)


è una riduzione cinematografica dell'opera "assurdista" di E. Ionesco che sembra corrispondere letteralmente al termine -riduzione- laonde, pur rappresentando un mondo in cui tutti gli umani si tramutano in pachidermi non ci si prende la briga di inquadrarne uno, nemmeno se la trasformazione (quella di Zero Mostel) avviene in primo piano:

Questa è la faccia più pachidermica che venga mai mostrata allo spettatore, mentre tutti gli altri animali rimangono prudentemente fuori campo... Da notare che nel nel musical Born Again, tratto dalla stessa opera, vediamo i protagonisti del titolo ballare:

Photo: Jason Carr

la povertà della messinscena qui è di tale portata da aver praticamente cancellato questo titolo dalla memoria cinematografica. In che modo può essere interessante un apologo, una allegoria satirica della bestia (apparentemente ispirata a qualche regime politico non meglio definito) umana, dove i cittadini si trasformano in rinoceronti ...restando umani?!? Fermo restando che la raffinatezza allegorica del soggetto non ha nulla da invidiare a quella dei besti del titolo, questa è una devoluzione dal "Teatro dell'Assurdo" ad un cinema del ridicolo, che non è sinonimo di comico.
I tentativi di renderlo tale con qualche intermezzo slapstick

e a mal grado degli occhi sempre guizzanti di Gene Wilder

sono patetici.

La presenza della giovane Karen Black è motivo di un'imprevista riflessione sul mio punto più debole in assoluto, e il motivo della mia completa disfatta sentimentale, la eteroforia.


Potrebbe esserci un vulcano in piena eruzione, tra me e quello sguardo, e io sarei ancora pronto a correre verso di lei. Come ho già fatto. Più volte.
Me ne rendo conto, questa è stata ed è ancora oggi la qualità estetica in grado di schiacciare l'ultimo briciolo di buon senso in me; che sia considerata come anomalia, dalla medicina, è un fatto. Ma cosa sia in essenza questa rara peculiarità, cosa si nasconda dietro il termine "anomalia" e dietro la "persona" che suo malgrado ne è portatrice, o peggio, cosa questo davvero significhi per me, sono tutti misteri che non mi sarà facile svelare restando nel mondo delle parole.
Come tutti gli altri.

Qualcosa per cui morire volentieri: è una cosa rara per il blogger.
Ma evidentemente non è una cosa per cui vivere.


Ship in a bottle


mi è capitato di pensare a Beck, il tennologico artista scientologico di L.A., che mi ha ricordato il famoso monologo di Shylock a difesa dell'ebreo; ho sempre ammirato Beck; la sua spudorata mosaicità unità alla puerilità del figlio d'arte, il musicista nato; poi, Sea Change; e tutto quello che è seguito non è stato più il "solito" e imprevedibile Beck, giullare multimediale, dj hickbilly elettronico mutante;
qualcosa è successo;
all'ebreo scientologico, all'artista di (quasi) successo, è successo;
a chiunque, può succedere, e succede.
perchè lo lasciamo, e lo vogliamo succedere. Oppure, no.
ma succede a tutti.
Questa è una di quelle canzoni che lo dicono.

Tableaux mourants

Un bambino urlante si rifiuta di entrare nel camion pieno di gente nuda in attesa; convinto dalle buone maniere di un funzionario:


il bambino si unisce alla folla nuda, e il portello viene chiuso. Si procede al collegamento del tubo che unisce lo scappamento alla cabina sigillata del veicolo:

il quale infine parte

lasciandoci ancora mortalmente imbarazzati, come l'anonimo protagonista del film che buca la quarta parete con un'occhiata fugace:

Härlig är jorden di R. Andersson (1991)


è il secondo, cortissimo cortometraggio del regista svedese che contiene già il germe dei seguenti lunghi visti in precedenza: uno spot pubblicitario della morte, qui ancor più spot, grazie all'uso di veri e propri tableux (pétit) vivant che ci ricordano quelli di L'année dernière à Marienbad, benché lo stile glaciale dell'Autore -che ricrea il bianco e nero su una normale pellicola a colori con scenari neutri e le facce (maschere) degli attori sbiancate- sia al servizio di un pessimismo meno romantico di quello di Resnais.

Qui vediamo il fratello dello speaker/protagonista e testimonial dell'oltretomba sbirciare di nascosto l'orologio, mentre il Ns. dice di considerarlo il suo unico amico... "so to speak":

e qui ancora una picconata alla famosa parete, quando durante la comunione l'uomo si attacca alla coppa di vino e riesce a vuotarla, malgrado la tenace opposizione del prete e di un fedele:

Da noi i preti sono più furbi; il vino se lo bevono solo loro...

"Scenette" si dirà, e "surrealiste"; che si susseguono come interruzioni pubblicitarie di loro stesse, come nella realtà televisiva dell'utenza moderna. E ancora, il neo-sur-realismo di Andersson è orientato verso l'apologo ecologico -dopo il mostruoso ingorgo globale di Sånger från andra våninge (V.)- dove oltre all'utenza gassata nel camion, qui abbiamo il figlio del protagonista segnato a vita dalla stupidità del padre:

che gli ha fatto tatuare "VOLVO" sulla fronte, ma che "tra 10 anni" -dice- gli farà fare un' operazione per toglierla...

Il "surrealismo" di Andersson è quello stesso della razza umana, che in effetti si intossica ogni giorno con i peggiori veleni (quelli che uccidono molto lentamente), ma probabilmente trova "bizzarra", o financo "sconveniente" la scena d'apertura.

C'è qualcosa di fortemente artistico in questo autore, qualcosa che troviamo proiettato qui nel grandioso finale, in cui l'uomo non dorme a causa di un grido incessante che lo ossessiona: "Qualcuno sta urlando" ripete. E' il grido del bambino in apertura.


La moglie -saggia- ha per lui lo stesso consiglio della moglie di Peter Falk nel finale di Mickey and Nicky (1976): "Vai a letto", gli dice "o non riuscirai a farcela domani".
Se non altro, possiamo ringraziare mr. Andersson per averci sentiti.

Giudizio: boreale.

28/07/10

Bambini cattivi

Alla fine, la cosa + interessante di questo

Bad Boy Bubby di R. de Heer (1993)

con tutto il suo colossale squallore, il suo brutto incesto (che è certamente più brutto se gli incestuosi sono tanto brutti quanto questi) tutto il degrado in cui sono immersi i protagonisti, e tutta la sua insopportabile crudeltà verso i felini -altra parola-chiave che lo accomuna a Gummo (1997)- infine la cosa più interessante del film sono i 32 direttori della fotografia 32, e l'audio binaurale, che sicuramente contribuiscono alla buona riuscita di un esperimento di estraneazione e provocazione filmica che non ha nulla da invidiare al più sadistico gore flick, pur senza ricorrerere all'effettismo speciale.

E' un effettismo normale, quello applicato qui, che mi ricorda il "neoirrealismo" di De Sica (V.), e l'idea che il degrado degli scenari e l'ovvia indigenza dei protagonisti debbano necessariamente sottintendere la loro povertà morale e spirituale, con ogni conseguenza di rilievo cinematico; in questo caso il bambino cattivo non si limita alle monellerie, e dopo il gatto fa fuori la sua grassa, laida madre ubbriacona e il padre, tornato dopo 35 anni di assenza con un collarino da prete al collo...

BBB ha un'ottima fotografia (o meglio, 32 ottime fotografie) e segna l'esordio sbalorditivo di Nicholas Hope -Bubby- che purtroppo non ricordo di aver visto altrove; il film si mantiene in bilico su quel suo sguardo, disperatamente perduto e falsamente puro, che è proprio dei cuccioli di sapiens. Quello che manca è un minimo indizio di spirito ludico, che troviamo solo nel finale, il più tragico possibile, fra Wild at Heart (1990) e Natural Born Killers (1994):

"e vissero tutti felici e contenti"

Tra l'altro, l'ossessione di Bubby per le ...boobies è condivisa da un altro mostro poco noto del cinema, il Frank di The bride of Frank, che finisce allo stesso modo e di cui forse so già troppo, ma che nondimeno mi appresto a scaricare da Rapidshare. Nel caso di una futura recensione di quello posso avvisare in anticipo: warning: spoiler.

Soltanto l'idea di maltrattare una creatura sublime come un gatto, per il vano intrattenimento delle bestie paganti, ha fatto perdere una faccina al film. Invece uno smiley va al protagonista, uno a tutti i 32 direttori della fotografia, e uno al fegato dell'Autore:

Una copia del suo lavoro seguente, The quiet room in ver. it. è già in download.
Grazie al file sharing nazionalpopolare, la vedremo forse nel 2012.

Giudizio: bad. Ma soprattutto Aussie.

27/07/10

L'imbarazzo di vivere

Un altro film fermo su sé stesso. Inamovibile.
Come nel successivo Du levande (V.) anche in

Sånger från andra våningen di R. Andersson (2000)




la macchina da presa è inchiodata a terra, e anche qui le esistenze momentanee di personaggi straordinari per la loro ordinarietà si intrecciano in una continua pubblicità del nulla;
anche qui c'è chi canta, e chi suona

e di nuovo il senso preponderante è quello di un imbarazzo esistenziale squisitamente nordico, che non prevede le più tiepide scappatoie del malsano quanto temperato cinismo continentale; ancor più poetico, che non equivale a più "leggero", come ben sa l'uomo il cui figlio è impazzito a furia di poetare...


ancor più apocalittico, benché per il blogger la rivelazione sia legata all'ultimo Du levande;
qui addirittura qualcuno rompe la quarta parete, lanciando un'occhiata fugace allo spettatore; quasi infastidita, ma che lo rende involontariamente complice di questo particolare imbarazzo filmico

come quella dell'uomo quasi segato a metà dal prestigiatore, quando si mette a tavola

I "quadri" di Andersson si succedono inesorabili, limpidi e foschi e sempre sull'orlo del surrealismo, in una città-fantasma dove tutti stanno guidando la macchina nel più grande ingorgo della storia (secondo solo a quello di Parigi in Zazie) e la popolazione è rappresentata dal suono incessante dei clacson, su sfondi semi-deserti e desolatamente gelidi, esterni o interni che siano; e la MdP, niente, non accenna minimamente a muoversi.

Fino a che, nella sequenza alla stazione, un misterioso tizio comincia a seguire Kalle, che si trova a fare il rappresentante di crocefissi dopo aver dato fuoco al suo negozio di mobili:


e soltanto allora la macchina arretra, seguendo con una dolly il loro breve spostamento sulla banchina, fino al punto in cui Kalle riconosce nello straniero il suo vecchio amico Sven:


che si è suicidato.
Primo, e ultimo movimento di macchina sul set di questo film.

Qualche utente su IMDB azzarda quindi l'ipotesi che SFTSF sia un film ambientato in un purgatorio, che si intende come un "piano" tra il primo e il terzo; io direi che l'elemento escatologico è piuttosto ovvio mentre non lo è l'approccio dell'autore, e la sua sola svedesità non è da sottovalutare laddove il più famoso e strepitoso surrealista filmico era (e rimane) Spagnuolo...

Songs è molto probabilmente la prima parte di una trilogia di cui Du levande è altrettanto verosimilmente la seconda;

paradossalmente meno scatenata di quella, nella sua ingombrante, corpulenta gravità ultra-terrena, mi chiedo cosa potrebbe essere la terza; forse il più grande film mai prodotto per gli schermi... ???

E chi l'avrebbe mai pensato, di un regista Svedese? Non fraintendete, non sono mai stato un fan di Bergman; questa è solo umorismo dozzinale da blogger, che corrisponde come sempre alla sua risibile realtà.

Giudizio: montagnoso (dove sia in salita che in discesa si resta sempre ad alta quota)

La morte arranca sul fiume

Questo film si apre, come Dune, con una figura che si staglia sul cielo stellato; non è la figlia dell' Imperatore dell' Universo, ma una nonnina collo scialle sulle spalle:


In questo film Peter Graves interpreta Ben Harper (!)

il quale, dopo avere uccisi e rapinati due tizi finisce al fresco e sulla sedia elettrica... ma non prima di aver nascosto il malloppo, di cui solo i due figlioletti conoscono il nascondiglio...
Come tutti i miei lettori cinefili avranno già capito, questo film è

The night of the hunter di C. Laughton (1955)

primo lavoro dietro la MdP del famoso attore, talmente deluso dall'accoglienza del film che fu anche l'ultimo da lui diretto. La cosa migliore è la fotografia di Stanley Cortez (quello di The magnificient Ambersons)

mentre nessuno del cast sembra al posto giusto, compreso il predicatore e tagliagole Robert Mitchum, nel ruolo di quello che poi sarà il predicatore fantasma in Poltergeist II interpretato dal mostruoso Julian Beck:

ovvero, il predicatore che canticchia; e in questa immagina ci ricorda pure l'Esorcista...
Le atmosfere suggestive sono il punto forte di questo titolo, com'è patente da queste immagini, ma l'unica brava sul set mi è parsa la sempre patetica Shelley Winters, che seppure non ancora grassa e vecchia:

ma tantomeno bella, è sempre grandiosa nella parte della povera pazza derelitta.
Ci sarà un motivo?
Come abbiamo visto, le atmosfere suggestive sono il vero punto di forza di questo titolo, talvolta tendenti al favoloso:

e anche per via della presenza di due fratellini soli nella notte si può definire un prototipo del più famoso thriller atmosferico della storia, To kill a mockingbird (1962).
Purtroppo, in quanto tale, il film di Laughton difetta soprattutto dell'elemento thrilling, con la belloneria piuttosto pesce-lessata con patate di Mitchum che non si addice al personaggio di barbablu (a mio parere il suo Harry Powell è tutt'altro che una diabolica merda) aggravata dalla presenza di due attori-bambini incapaci, sul set di un regista che odiava i bambini...

Mi incuriosisce il fatto che tra i tanti quadretti davvero deliziosi di questa fiaba criminale alcuni abbiano per protagonisti gli astri

e la neve


i quali, come abbiamo visto poco fa, sono tra i protagonisti più notevoli di The miracle of the bells (1948)... Anche quello mediocre, ma con una grande fotografia. Morale: non bastano tutte le stelle e tutti i fiocchi di neve in cielo per salvare un brutto film.

The night of the hunter è famoso soprattutto per i tatuaggi sulle dita di Mitchum:

HATE sulla sinistra, LOVE sulla destra.

Le parole in omaggio:

tattle - verb [V] ~ (on sb) (to sb) (informal disapproving, especially AmE) to tell sb, especially sb in authority, about sth bad that sb else has done
SYN TELL ON SB

caulk - verb [VN] to fill the holes or cracks in sth, especially a ship, with a substance that keeps out water

smidgen (also smidgeon, smidgin) noun [sing.] ~ (of sth) (informal) a small piece or amount of sth: ‘Sugar?’ ‘Just a smidgen.’

(Oxford Advanced Genie)

some hickbilliese

A coon's age
Etymology
Noun a coon's age (singular only)
(idiomatic, US, colloquial) A very long time.
(The word coon may be considered racially pejorative in some communities, including that of African-Americans in the United States.
Synonyms
(colloquial: a long time): dog's age


flapdoodle (countable and uncountable; plural flapdoodles)(uncountable) nonsense
(countable) Speakers and writers of nonsense.