12/11/10

2 B and not

Vista da questa parte, la nascita è per molti una specie di "miracolo" (un nome come un altro, per qualcosa che non si comprende) ma abbiamo ogni buon motivo per credere che sia tutt'altro; e non soltanto per quello che ci raccontano i Veda, sull'orrendo processo del travaglio che affronta il nascituro (decisamente più atroce di quello materno) nell'Oscurità dell'Abisso, senza parlare dell'Abominio chiamato "battesimo", ma per quello che constatiamo da noi, in fondo ai cieli, in presenza di una qualsiasi di queste scimmiette rugose la cui unica occupazione per mesi e mesi è di piangere, mangiare e produrre escrementi. Piangere, soprattutto: la prima cosa che ognuno di noi ha fatto, ancor prima di aprire gli occhi. Ancora prima di sapere in quale mondo di pazzi siamo finiti, non abbiamo dubbi sul da farsi: urlare disperatamente.

Questa è la principale differenza tra il mammifero "sapiens" e le altre specie terricole. Oggi possiamo assistere al "miracolo" della nascita facilmente: attraverso internet possiamo guardare una quantità di madri animali partorire, e come noteremo non c'è vitello, cane, gatto, ippopotamo o scimmia, porcospino o cavallo, che apra la bocca per lamentarsi alla sua nascita. La presunta "anima" che ci distinguerebbe da tutte le altre specie, è quella consapevolezza che acquisiamo immediatamente, con il primo respiro autonomo, di essere (re)"incarnati" in un contenitore materiale, una illusione solida attraverso la quale esperiremo una serie di eventi perlopiù ignoti, ma che hanno tutte le probabilità di condurci alla "morte", al nostro ultimo respiro esalato con altrettanto dolore.

Si ritiene, a parer mio giustamente, che ogni bambino sappia tutto quello che c'è da sapere di questa "vita"; è una consapevolezza abbastanza profonda da non poter essere espressa con la cosiddetta logica, e di fatto sono perlopiù le arti (in quanto reliquie di quella stessa consapevolezza) ad esprimerla anche in età adulta, e anche nella composizione poetica, laddove una sequenza di idee travalica i confini della "ragione"... Tutti i bambini sono "artisti", e spesso sono meglio come artisti che non come oratori, scrittori o contabili; certo nessun bambino si metterà di sua iniziativa a rievocare fatti storici o dati scientifici (che esistono solo sui libri) a moltiplicare cifre casuali, o a fare le flessioni, ma sicuramente disegnerà paesaggi e animali se avrà un foglio e una matita, e saprà trasformare qualsiasi cosa in uno strumento musicale se non ne avrà uno reale a portata di mano...

La consapevolezza del bambino, la sua indescrivibile, inesprimibile, infinita sapienza diminuisce via via con la sua istruzione, con l'accumulo di una zavorra mentale che non saprei definire altrimenti, composta di informazioni perlopiù incerte, discutibili, inutili, a volte del del tutto campate per aria; al momento di iniziare a frequentare una scuola il bambino è già stato potenzialmente resettato affinché una enorme mole di pensieri estranei sostituisca la sua propria, unica realtà, per modellarlo in base alla falsità assoluta dello status-quo, alla Illusione materiale in cui si trova fisicamente, ed educarlo effettivamente alla religione del Materialismo. E nel caso fosse necessario evidenziarlo, le eccezioni -piuttosto rare- in questo stato delle cose, da adulti finiranno loro malgrado per essere "artisti" oppure semplicemente "tipi strambi", che non hanno mai trovata una forma di espressione adeguata, per esternare una consapevolezza che nel frattempo è sbiadita fino ad essere irriconoscibile.

Concluso il processo di indottrinamento "dell'obbligo", e possibilmente completati altri studi sempre più differenziati, riempita la sua testa di ovatta multimediale, di parole il più possibile ingombranti, si ottiene un cittadino che pur lungi dalla perfezione non mostrerà troppi dubbi sul modo di comportarsi in quanto tale: accoppiarsi e riprodursi (secondo un modello naturale che pure sotto altri aspetti ignora o rinnega in maniera assoluta), cercarsi una casa e un impiego, così che per il resto dei suoi giorni si preoccupi di sfamare i suoi e di pagare le tasse allo stato, ormai perfettamente inquadrato sullo scenario del "consumismo" di cui un giorno forse dirà peste e corna... Oppure no.

In ogni caso, se ne renderà conto non appena arrivano gli innumerevoli dubbi dell'adolescenza, non avrà mai più quella monolitica e inattaccabile idea di sé che aveva all'inizio della sua carriera umana, quella indubitabile ragione di essere che aveva soltanto quando era incapace di comunicare verbalmente. Nel migliore dei casi egli sarà una parte sempre più integrata, e sempre più indistinguibile nella massa, un numero in un computer della banca, un elettore alle votazioni, un fedele alle funzioni... Non ricorderà nemmeno di quando urlava per ore e ore, con tutte le sue forze, fino a diventare scarlatto in viso, e a farsela addosso per lo sforzo... Se mai piangerà ancora, per qualche istante, avrà un motivo per farlo che non è sicuramente triste quanto la sua stessa amnesia.

La nostra "sorte" -o, forse, la nostra programmazione genetica- ci impedisce di ricordare cosa siamo stati, ciò che un solo istante prima della nascita (e dopo la morte) corrisponde a quello che siamo realmente, e che non appena "rivelato" al mondo delle parole si può percepire unicamente come "mistero". O "miracolo", se preferiamo, se siamo pronti a intitolare in questo modo anche il fenomeno della morte. Mi stupisco che un solo individuo al mondo sia ancora in grado di affrontare questo argomento, che qualcuno ricordi almeno di non poter ricordare; per quanto ne so, abbiamo tutti i migliori motivi per urlare disperatamente alla nostra nascita, mentre ancora non riesco a capire come tutti poi si accontentino di aver smesso, senza nemmeno scrivere un post.

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