16/06/10

Il vento fra gli ulivi

Questa terra è magica; non parlo dei suoi abitanti, delle case, delle chiese, o delle strade; parlo della terra, e della sua posizione sotto il cielo, e accanto al mare. In un contesto assolutamente turistico, come quello in cui l'ho conosciuta io, e nell'ambito strettamente teorico della memoria, non c'è spazio per l'osservazione di fenomeni sociali endemici di tutto il Mezzogiorno Italiano: malavita, povertà, e legami familiari tanto profondi quanto sono profondamente sconvolti dai primi due fattori.

Sicuramente la storia del venditore ambulante e tamburelliere Pino Zimba, pseudonimo vivo di un Giuseppe Mighali che ha ispirate le vicende di

Sangue vivo di E. Winspeare (2000)

è qualcosa di verosimile, o neo-realistica, benché non si ricorra qui al formato quasi-documentariale di Gomorra (2008) dove pure erano necessari dei sottotitoli in Italiano, e nell'amorevole visione del regista (Austriaco cresciuto a Depressa) di questo angolo incantato del mondo gli spazi inconfondibilmente Salentini sembrano in grado di cicatrizzare il male umano e terrone,

anche grazie alle belle inquadrature di un Paolo Carnera, alla larga dai "casermoni" di Scampia.
Dopo la visione, queste riflessioni mi portano a pensare che anche qui la miseria è patente, è gente che vive perennemente sulla soglia della dignità, senza la spudorataggine dei napoletani, ma che spesso e volentieri la valica per fare qualche soldo che non arriverebbe da nessun'altra parte. Come stanno le cose al Sud, bene o male, lo sanno tutti... Le facce "da strada" dei protagonisti non sono meno "brutte" nella loro genuinità di quelle del film di Garrone; ma la dolcezza dei paesaggi, appena oltre la soglia delle case, e delle loro miserie, è un unguento per lo spirito; la magica Terra miracolosamente in equilibrio fra Mare e Cielo, che ha generati tali degenerati violenti, geneticamente omertosi, disperati di mestiere, contrabbandieri e musicanti, è la stessa che può ricompensare della mancanza di ogni bene terreno, con un solo sguardo.

Questo si avverte, nel film di Winspeare, un amore paragonabile solo a quello per una donna, moltiplicato per un milione... Anche se non so quanto lo possa avvertire chi non sia altrettanto follemente innamorato della regione Puglia quanto lo è -da due anni in qua- il Vs. blogger...
E non me ne preoccupo molto. E poi, la pizzica; la taranta; la danza degli invasati, martellante e ossessiva, quasi-africana, con i suoi canti muliebri che rimandano alle sirene di omerica memoria

e il cui fascino meta-ritmico ho avuto il piacere di subire in qualche notte di un qualche passato

E il dialetto Salentino, una delle lingue più divertenti mai udite in vita mia, dove questi sottotitoli:

traducono il dialogo:
"Tia ssì paccio!"
"Percié?"
e -subito dopo:


"Ci è?"

e dove la lucertola si chiama straficula e l'albicocca vernacocca, etc., etc.

Il film tocca anche l'argomento droga, in maniera abbastanza marginale, ma ci regala un bel flash-da-eroina notturno al ritmo di pizzica, e quest'altro flash forse casuale e forse no, dove il murales di un presunto Alessanese la dice lunga, e in corretto Inglese:

Giudizio: sanguigno, e vivo

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