22/06/10

Lorenzo d'Arabia

Lawrence of Arabia di D. Lean (1962)

Un classico inclassificabile, con un cast di tutto rispetto

a partire dal giovane O'Toole nella sua prima grossa, anzi, enorme produzione

e il suo insolito compare "bedu" Omar Sharif

a Sua Santità Sir Alec Guinness, qui in un tipico atteggiamento Jedi

al super-nasuto Anthony Quinn

fino al laido, subdolo José Ferrer, in un ruolo di futuristica perversione

e il sempre più vecchio Claude Reins...

Ma il vero protagonista qui è il Deserto, fotografato in ogni sua forma e sfumatura da Freddie Young;
Lawrence of Arabia è soprattutto questo, e la visione di un file divX dove i 216' di metraggio sono compressi in 1.4 Gb fa rimpiangere anche il piccolo schermo della TV, specialmente per una prima visione (ora confessa) che sul grande schermo avrebbe lasciata tutt'altra impressione.



che da coloratore di mappe giunse a capo della rivolta dei beduini contro gli Ottomani, il film di Lean lascia parecchi interrogativi; ma soltanto Lawrence in persona potrebbe risolverli, e probabilmente le risposte non ci piacerebbero altrettanto. A quanto si dice, comunque, la sua diversità era abbastanza completa, e quello che tutti gli spettatori del film temono, sembra sia effettivamente accaduto; del resto, sembra anche che a lui non dispiacesse...

Forse il "vero" Lawrence aveva un grande carisma personale, che l'obbiettivo non è stato in grado di catturare; sicuramente non aveva i capelli di Peter O'Toole:

Come noto sempre più spesso, grazie alle mie nuove cuffie economiche mega-potenti, anche qui c'è un problemino di overscoring abbastanza costante per tutta la durata, anche se il famoso tema non è troppo insistito, e la epica pomposità sinfonica di Jarre, qua e là arabescata, non può competere con l'irritazione provocata da molte colonne sonore hi-tech attuali.

E poi c'è il sorrisino perenne dei cammelli:

adorabili bestiole.

Per due volte nella stessa settimana, sulla stessa strada, ho incrociato due cagnolini che portavano a spasso il loro padrone; il primo, un botolo bianco di razza pelosa, al guinzaglio di una signora, il secondo un cucciolo di cocker spaniel di sei mesi. Entrambi mi si sono avvicinati amichevolmente, di loro spontanea volontà, e io ne ho approfittato per accarezzare quelle innocenti testoline pelose. La morte del mio più caro e longevo amico felide oggi mi ha ricordata la leggenda di Osmond Le Roy, nel mio soggetto a titolo "Mostri"; resta un'idea di evoluzione attraverso livelli vibrazionali che potrebbero corrispondere alle "dimensioni" in cui si manifestano le distinte forme animali. Il mio sguardo è sempre e soprattutto rivolto al cielo, ma al momento questi incontri casuali mi rivelano un saldo legame con l'essere terricolo più gentile e simpatico, che non è quello umano.

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