09/01/10

Sangue d'acciaio


RoboCop di P. Verhoeven (1987)
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è uno strano film che rivedo volentieri dopo decenni, ritrovandoci molta più polpa televisiva (o "blob") di quanto ricordassi, ad accomunarlo al seguente Starship Troopers (1997) rivisto poc'anzi, e la stessa formula di ultra-violenza a livelli hardgore miscelata con varie vicende a sfondo umanistico -quasi-melo- su uno sfondo fantascientifico prepotentemente artefatto; bisogna ammettere che il trucco del mondo-set nello stile gravemente Mattel del suddetto, e riprodotto anche in Total Recall funziona bene, ma qui lo scenario è una "realistica" Detroit sull'orlo del collasso, quindi tutto l'artifizio visivo si concentra sul personaggio, l'agente di polizia ridotto a un colabrodo dai cattivi e rimesso insieme in guisa di robota (lavoratore) al servizio della legge.
E' un'altra storia stuzzichevole che coinvolge un' archetipia ancora poco indagata direttamente come in questo caso, del legame tra uomo e macchina; è un film che fa uso di una violenza estremamente grafica con qualche passaggio decisamente onirico, effetti speciali di tutto rispetto e persino un tocco di genuina stop-motion "extra", ovvero, il commercial televisivo con il dinosauro che si innamora di un'auto, dopo la comparsa del mostruoso bipode meccanico, prototipo fallimentare del robo-cop, ugualmente animato a passo uno; è un tocco di stile assolutamente cinematografico, che va riconosciuto all'autore.
Il cast è decisamente lynchiano; ci ritroviamo infatti


un Miguel Ferrer paradossalmente arrivista, dopato e scopaiolo (la nemesi di Albert Rosenfield!) e persino Ray Wise, ancora troppo giovane per avere una figlia da violentare, ma non abbastanza per sfoggiare la simpatica aura di psicopatia acuta che lo caratterizza; per non parlare dei vizi nasali, che erediterà poi la giovane Laura...


Last, but not least, anzi decisamente protagonistico, è di nuovo Peter Weller, il prof-attore più famoso degli USA, che ho appena rivisto in Naked Lunch, e che dopo Buckaroo Banzai si candida ad "attore con le parti più bizzarre nella storia del cinema"; un oscar che vincerebbe sicuramente come rockstar-neurochirurgo-pilota-sperimentale, piretro/centipede-dipendente e poliziotto meccanizzato


il suo personaggio è terribilmente triste, una creatura dei profondi anni '80, e con la sua compostezza cattedratica egli riesce a infondergli un pathos accademico che sarebbe irriconoscibile ad es. in un Bruce Willis o in un Harrison Ford; sicuramente un' ottima scelta di casting.

Infine, una menzione anche per l'altro finto-commercial TV del gioco di società del futuro:


la sceneggiatura originale è firmata da un Miner e un Neumeier.

P.S.: c'è anche un goofer esclusivo: quando vediamo in soggettiva, con gli occhi elettronici di RoboCop, un tecnico che finge di avvitare il visore ai quattro angoli del quadro, possiamo notare grazie alla nostra vista potenziata che quella montata sul suo trapano non è la punta di un avvitatore, ma una comune punta del 6:


quindi, ci ha appena fatto quattro buchi in testa. E' quasi-subliminalmente irritante.

P.P.S.: ovviamente il goofer non è esclusivo.

P.P.S.: in RoboCop sento per la prima volta l'epiteto "twerp" (risalente agli anni '20) che viene banalmente reso in "idiota" dal Garzanti, ma di fatto si riferisce a colui il quale è "insignificante", "debole di mente", "spregevole", e addirittura "presuntuoso"; un altro esempio di quante cose riescono a dire gli anglofoni con una parola brevissima, e un esempio da tener presente in molte occasioni.

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