15/12/10

L'albero della vita e della morte

Quello che mi ha portato a considerare il film di questa notte - e in particolare il breve discorso di addio di Ellen Burstyin- può interessare il mio lettore:

Il "segreto" è tutto qui: che ritorniamo interi, integri, completi, perfetti, soltanto DOPO questa "vita". Non esiste nulla di simile a una "verità" in fondo ai cieli, che non sia meno illusoria della "realtà" di cui partecipiamo; una "realtà" che assimiliamo a solidità, sostanza, materia; tutto ciò che sappiamo per certo destinato alla corruzione, al decadimento e alla cessazione; ciò che un giorno non sarà più, che sarà nulla, ciò di cui nessuno avrà notizia in un possibile futuro, è quello che siamo destinati a percepire come "reale" nel nostro eterno presente, a partire dalla nostra forma fisica, atomica, cellulare, organica, animale. Umana.

L'unico "segreto" è che nulla di tutto questo è destinato a restare, nulla di ciò che vediamo o ascoltiamo, nulla dell'intero universo che possiamo percepire Qui e Ora, nella angusta prigione dei nostri sensi umani; tutto ciò che rimarrà di noi è quello che è sempre stato, quell'unità assoluta della quale non riusciremo mai ad esprimere in un qualsiasi pensiero "logico", poiché essa è dentro di noi, all'interno dell'essere vivente individuale, ma in una forma assoluta e indifferenziata, che travalica per la sua propria natura ogni nostra facoltà intellettiva. Ciò che ha dato origine all'abominio dell'ideale divino proviene dalla stessa eterna, infinita sorgente dalla quale l'Uomo può attingere nuovamente la sua propria Intelligenza e recuperare la propria ragione di essere, rinnegando il dogma materialistico di quest'era insana, la superstizione che lo accieca quanto basta per non riconoscere le proprie paure, e infine vincere l'ignoranza del grande "segreto", il "mistero" più grande, che risiede soltanto in noi. 
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Il film dell'autore che ho tanto disprezzato per Requiem for a dream (che ricordo ancora come uno dei film più furbi e ignobili che abbia mai avuta la sfortuna di vedere) e del quale ho apprezzata soltanto la scelta e la direzione di Rourke in The Wrestler (V.) è

The fountain di D. Aronofsky (2006)
che è un'opera senz'altro più originale, più intensa e più meritevole di entrambi i suddetti, e per la quale l'aggettivo chiave è: suggestivo. Sono suggestive le inquadrature di Matthew Libatique, suggestive le note di Clint Mansell, suggestive le interpretazioni di Hugh Jackman e Rachel Weisz, e il tutto è basato sulla robusta, suggestiva sceneggiatura dell'Autore, a sua volta basata sulla più suggestiva delle idee, quella escatologica.
In part., sulla escatologia di origine Maya, e sull'Aldilà da essi chiamato Xibalba. Un genere di suggestione che -in un settore o nell'altro- non ha mai avuto eguali. Che io sappia, The fountain  è l'unico film che porti lo spettatore oltre i confini di Xibalba, e malgrado questa versione della mitologia Maya sia stata riveduta e corretta a piacere  (un vizio che gli ebrei non si toglieranno mai) e grazie ad un eccellente cast di effettisti speciali tutti Francesi, il risultato è decisamente suggestivo:



Così come sono suggestive le ambientazioni d'epoca in cui si muove l'alter-ego letterario e conquistador scientifico, scavalcando con estrema leggerezza i confini tra l'inquisizione Spagnola, i laboratori di ricerca oncologica e l'Infinito, in un lungo trip a tratti esaltante, accompagnato da musiche altamente meditative, ma che esattamente come i precedenti -in questo caso creando un estremo paradosso- lascia parecchio a desiderare dal punto di vista della profondità dei personaggi. Inutile dire che un dottore con una faccia meno supereroica di Hugh Jackman sarebbe stato meglio, ma conosciamo tutti le leggi dello showbiz, per cui un film tanto costoso non si potrebbe mai produrre senza almeno un X-man nel cast. E poi, ammettiamolo, avrebbe potuto andarci peggio di così; il problema sembra essere nel copione, dove ovviamente Aronofsky ha deciso in partenza di non fare mai roba "d'autore", ma di metterci sempre qualcosa "in più" di modo che la gente vada a vedere i suoi film, e la critica sia sempre piuttosto indulgente (o quasi: al 50% su Rottentomatoes) con lui; poche cose al mondo potrebbero infastidire il blogger, più di un potenziale Autore che usa la propria intelligenza a favore esclusivo della Suggestione -- e del conseguente profitto; ma come ben sappiamo, ce n'è un intero popolo. (E quello mi fa davvero incacchiare). Infine, in questo (3°) caso particolare, è quello che mi infastidisce di meno dei tre.


Ci sono motivi di interesse personale, mnemonico, del film, che riguardano alcune caratteristiche fisionomiche della protagonista, e tra un vortice dimensionale filmico e l'altro mi hanno trascinato di nuovo nel fiabesco regno del passato, non meno apparentemente remoto dell'Albero del titolo italiano, ma + facilmente accessibile; cose che si limitano alle espressioni, e alle impressioni che possono dare, o meno. So per certo che nessuno tra i miei lettori potrà apprezzare questo aspetto del film, ma questo è pur sempre l'unico diario che abbia, e il dovere di cronaca è del tutto personale, come queste note.


Nondimeno, in questo preciso fotogramma, vedendo che il baldo Hugh porta un cappello simile al mio, ho notato anche quella particolare "cicatrice" sul setto nasale, che sembra dovuta ad una microfrattura proprio come la mia.... Forse lui non se l'è procurata giocando col gatto, ma comunque è uno di quei segni particolari che mi piace notare nei film.*


Insomma, The fountain non comparirà mai nella mia "Top 100 movies", ma non giudico questa una esperienza cinematograficamente irritante come Requiem, né patetico-aggressiva come The Wrestler; questi sono due punti a favore del regista, non del film, che in compenso è visivamente piacevole dall'inizio alla fine, e di grande impatto visivo. Giudizio: estremamente lisergico. 
Financo psichedelico.

*Come l'eterocromia centrale di entrambi i protagonisti

P.S.: my favourite critic about it comes from the Telegraph: "If only all reputed turkeys gave us such a trip."

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