Crimes of passion di K. Russell (1984)
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nel 1984. Non mi era piaciuto granché, era una storia piatta condita con un po' di porno e Anthony "Psycho" Perkins nel ruolo del predicatore pazzo
sorta di belle de jour anni '80 con illuminazioni da fumetto Marvel
che non convinceva ne' come thriller ne' tanto meno come apologo moralista, specialmente per chi non aveva la più vaga idea di cosa fosse un rapporto di qualche tipo con una donna... O altro
Di questo primo episodio Americano di Russell avevo solo vaghi ricordi, ma l'impressione generale è rimasta quella. Brutta. In questo caso non è il lato spiacevole della trama, sempre filosoficamente molto British ma anche molto gay, dove sono particolarmente insistite le scene di coito accompagnate da una tremenda colonna sonora SO '80s (elaborata sulla "Sinfonia del Nuovo Mondo" di Dvorák)
e dove la lontananza dalla Cumbria è forse più dolorosa per lo spettatore che per l'autore, malgrado alcuni scorci rassicuranti
qui è l'insieme a non reggere il solito peso monumentale di cui Russell si fa sempre carico; dopo tanta pompa magna imperiale, o meglio, Reale, sembra quasi impossibile inscenare qualcosa di vagamente artistico sullo sfondo di L.A., e questo ci fa riflettere sulla realtà cinematografica del cinema del Regime Nazi-Hollywoodiano, ma anche sull' effettivo valore dell'Ultimo Vero Re di Hollywood, David Lynch, e dei suoi ultimi film in part.
Anthony Perkins fa il verso al suo personaggio più famoso e rovinoso per la sua carriera:
e a proposito della mia avventata affermazione di prima (V.) ricordiamo che la migrazione di Hitch nel Nuovo Mondo ci ha lasciato alcuni titoli storici, veri e propri gioielli cinematografici, a partire dal qui parodiato, a Rope, a Rear Window, a Vertigo... Sicuramente tra i suoi film migliori.
Entrambi i lavori Americani di Russell visti finora (V. ep. prec.) sono tra i suoi peggiori, anzi, decisamente i peggiori, e questo dunque è il più grave limite, il confine invalicabile di Russell che è quello geografico, quello della sua stessa Inglesità, la quale racchiude in una densa (logo)sfera di grande potenza emotiva un cristallo d'arte Anglosassone; talvolta un po' piccolo rispetto alla mole dell'opera, ma tutto sommato funzionale, tra alti di altissima grossezza, e bassi di un molto basso eppur sottile acume satirico. Di questo delicato, improbabile equilibrio non resta vieppiù nulla in entrambi i Russell made in USA. Che sono, come la gag del pene umano
simply and plainly gross
e laddove il Maestro si adeguava perfettamente alla vastità ma anche alla grossezza del pubblico Americano, e il suo genio assumeva le proporzioni necessarie in ogni dimensione, Russell potrebbe forse fare lo stesso se non fosse tanto fissato con la sessualità e la condanna al giogo muliebre; inevitabilmente simili tematiche a misura di Hollywood tendono alla pornografia, che non ha speranza di poter essere in qualche modo interessante per gli amanti dell'arte.
Giudizio: come 26 anni fa, brutto
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