28/10/10

Avanti piano

Quando uscì nei cinema

E la nave va di F. Fellini (1983)

ero gravemente affetto da svariati disturbi neurologici e comportamentali tra cui, appunto, il cinema. In quel periodo di cupa follia il cinematografo era il tempio del mio rito festivo, leggevo di cinema su Cineforum, avevo un abbonamento al cineforum, compravo libri su Hitchcock, Wenders e Altman, e restavo alzato fino all'alba per vedere una rassegna su Ozu o Bergman.
Ero un movie geek in piena regola, ma Fellini non mi piaceva.
Soltanto Satyricon -che è ancora il mio Fellini preferito- visto da qualche parte a cavallo tra gli ultimi due secoli, mi fece cambiare idea; sapete come la penso, sul cinema. Si tratta di pochi principi, idee estremamente mondane sulla messinscena, sulla produzione del sogno, che legano i primi cineasti alla nascita dell'industria Hollywoodiana e alle sue tecniche primitive, a coloro che hanno avuto il coraggio e la sensibilità per utilizzarle come strumenti d'azione, elementi attivi dell' opera. Gli studios, in part., i teatri di posa, con tutti gli artifici annessi e connessi, dai fondali dipinti alle rear projection ai matte painting, ai plastici in scala...

Fellini ha sempre snobbato i transparents tanto cari a Hitch, preferendo i fondali statici; in questo caso anche il set è più statico del solito, meno circense e anche meno felliniano, basato su una storia piena di macchiette fumettistiche e nessun protagonista, se escludiamo il narratore

che ci ricorda il Marquis de Custine di Russian Ark (V.)

Questo blogger ha una precisa idea della mole del cinema, soprattutto grazie alla piccolezza delle menti che lo utilizzano oggi; E la nave va non è il capolavoro di Fellini, ma è un film che lascia intuire tutta la grandezza dell'arte cinematografica attraverso le proporzioni, il tonnellaggio e l'andatura (da crociera) dell'unica vera protagonista, quella del titolo.

Con tutte le sue caricature viventi, le sue arie da finta-opera e il suo finto rinoceronte, può essere un ritratto del cinema Italiano o del cinema stesso, che si muoveva già su un mare di stoffa nel 1983, e la scomparsa di Fellini non ha certo migliorata la situazione...

La "violenza" finale dell'uscita dal set, sulle colossali impalcature che muovono la nave

e l'Autore che viaggia sul dolly fino a inquadrare lo spettatore può essere un suggerimento

Il film inizia e finisce in bianconero virato seppia, con tanto di fruscio; lo stesso artificio che suggerisce l'epoca della vicenda è anche l'unico che possa suggerire l'idea di una dimensione interna al film, quella cinematografica, dove tutto si svolge ad un livello di dignità maestoso, grazie alle maestranze di Cinecittà...

Stranamente, anche questo Fellini non mi piace, come non mi sarebbe piaciuto nell'83.
Lo trovo alquanto stanco rispetto ai precedenti Fellini, la poesia corsiva di colui e Tonino Guerra ansimante; sceneggiatura e contenuti non reggono il peso (come sempre) monumentale dell'opera costruita da Ferretti e Rotunno. In compenso oggi posso guardarlo con gli occhi dello straniero, e comprendere meglio tutto il fascino di questo sogno artigianale, pur senza poterlo esprimere a favore dei miei lavori, ma nemmeno nel mio blog.
E' un valore più che nazionale, fortemente Italiano. Che non posso apprezzare in quanto tale, ma al quale posso infine riconoscere tutti i meriti tanto decantati dai critici di tutto il mondo critico.

Il nostro speaker è l'anello di congiunzione, il testimone del tragico passaggio (avvenuto al capezzale di Fellini nel 1993) della Giusta Rotta, passata dal Maestro Riminese ad un esordiente David Lynch: Freddie Jones, che era Bytes

in Elephant Man e sarà poi -l'anno seguente- Thufir Awat in Dune

qui abbatte puntualmente la quarta parete

per descrivere fatti e personaggi al pubblico distratto.
Quello di cui non parla, ma che la sua persona rappresenta , è un drammatico cambio di scena nel panorama artistico mondiale.

Giudizio: navale.

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