27/07/10

L'imbarazzo di vivere

Un altro film fermo su sé stesso. Inamovibile.
Come nel successivo Du levande (V.) anche in

Sånger från andra våningen di R. Andersson (2000)




la macchina da presa è inchiodata a terra, e anche qui le esistenze momentanee di personaggi straordinari per la loro ordinarietà si intrecciano in una continua pubblicità del nulla;
anche qui c'è chi canta, e chi suona

e di nuovo il senso preponderante è quello di un imbarazzo esistenziale squisitamente nordico, che non prevede le più tiepide scappatoie del malsano quanto temperato cinismo continentale; ancor più poetico, che non equivale a più "leggero", come ben sa l'uomo il cui figlio è impazzito a furia di poetare...


ancor più apocalittico, benché per il blogger la rivelazione sia legata all'ultimo Du levande;
qui addirittura qualcuno rompe la quarta parete, lanciando un'occhiata fugace allo spettatore; quasi infastidita, ma che lo rende involontariamente complice di questo particolare imbarazzo filmico

come quella dell'uomo quasi segato a metà dal prestigiatore, quando si mette a tavola

I "quadri" di Andersson si succedono inesorabili, limpidi e foschi e sempre sull'orlo del surrealismo, in una città-fantasma dove tutti stanno guidando la macchina nel più grande ingorgo della storia (secondo solo a quello di Parigi in Zazie) e la popolazione è rappresentata dal suono incessante dei clacson, su sfondi semi-deserti e desolatamente gelidi, esterni o interni che siano; e la MdP, niente, non accenna minimamente a muoversi.

Fino a che, nella sequenza alla stazione, un misterioso tizio comincia a seguire Kalle, che si trova a fare il rappresentante di crocefissi dopo aver dato fuoco al suo negozio di mobili:


e soltanto allora la macchina arretra, seguendo con una dolly il loro breve spostamento sulla banchina, fino al punto in cui Kalle riconosce nello straniero il suo vecchio amico Sven:


che si è suicidato.
Primo, e ultimo movimento di macchina sul set di questo film.

Qualche utente su IMDB azzarda quindi l'ipotesi che SFTSF sia un film ambientato in un purgatorio, che si intende come un "piano" tra il primo e il terzo; io direi che l'elemento escatologico è piuttosto ovvio mentre non lo è l'approccio dell'autore, e la sua sola svedesità non è da sottovalutare laddove il più famoso e strepitoso surrealista filmico era (e rimane) Spagnuolo...

Songs è molto probabilmente la prima parte di una trilogia di cui Du levande è altrettanto verosimilmente la seconda;

paradossalmente meno scatenata di quella, nella sua ingombrante, corpulenta gravità ultra-terrena, mi chiedo cosa potrebbe essere la terza; forse il più grande film mai prodotto per gli schermi... ???

E chi l'avrebbe mai pensato, di un regista Svedese? Non fraintendete, non sono mai stato un fan di Bergman; questa è solo umorismo dozzinale da blogger, che corrisponde come sempre alla sua risibile realtà.

Giudizio: montagnoso (dove sia in salita che in discesa si resta sempre ad alta quota)

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