Nella estrema, ma estremamente vivida e vorticosa, semplicità di
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troviamo tutti i motivi per meditare di nuovo sull'Arte, qui incarnata dallo scultore e draughtsman (come dice la Tate Gallery) primitivista Henri Gaudier-Brzeska, e della sua controparte muliebre e + anziana Sophie Brzeska, in una strana romance triangolare con l'Arte all'apice, meno eccessiva e addirittura asessuale, ma non meno entusiastica e pirotecnica del "solito" (Russell), con un inserto- omaggio di puro vorticismo scenografico:
L'interprete del titolo è un giovane e scalmanato Scott Anthony
che riesce a infondere al personaggio tutta la messiarietà e la selvaggeria necessarie; stranamente, su IMDB le sue tracce si perdono nel lontano '976. La semplicità e l'efficacia del film derivano dall' entusiasmo di colui nello scolpire il proprio ruolo giovanottesco, di artista bohèmienne destinato ad una morte paradossale.
E per questo vederlo tanto vivo prima, e saperlo tanto morto dopo, quando leggiamo di lui sul web e vediamo le sue opere esposte alla Tate Gallery:
ci porta a riflettere svogliatamente sull'ideale stesso dell'arte, sulla improbabile realtà dell'artista vero, che resiste alla guerra ma anche al proprio consumismo, e sulla tenacia di Ken Russell nel proiettare continuamente il medesimo nelle più disparate situazioni etichettabili come "biografie".
Giudizio: riflessivo.
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