07/06/11

Di corsa in corsia

Tra i film + skippati della stagione, 

Shock Corridor di S. Fuller (1963)

dove Peter Breck

diventato poi famoso con  "La grande vallata" in TV, è il giornalista a caccia di Pulitzer che si fa rinchiudere (furbamente, con l'accusa di incesto) nel manicomio in cui fu commesso un delitto rimasto irrisolto con l'intento di scoprire l'assassino; durante il soggiorno conosce altri ricoverati come il grassone Petey


il generale sudista, che presenta gli stessi sintomi poi insorti nel caso di Benjamin Horne in Twin Peaks


(ma sembra un disturbo piuttosto comune negli U.S.)
e il paradossale negro che non sopporta la gente di colore


e si vanta d'avere fondato il Ku-Klux Klan; stranamente, coll'entrata in scena del tema razziale, e con la conoscenza del "soggetto scomodo" in questione, arriva anche il trattamento shock


a cui fa forse riferimento il titolo originale (agli Italiani è arrivato come "Corridoio della paura"); una catena di eventi che ci ricorda inevitabilmente le vicende del più moderno -e famoso- One flew over the cuckoo's nest, con l'incontro di Nicholson e "Grande Capo" Will Sampson. Più verosimilmente, ma non meno pateticamente, qui ci vorrà un altro bel pezzo di film, compreso il successo in extremis della missione giornalistica, prima di vedere il Ns. finalmente ridotto a "schizofrenico catatonico":


ovvero, uomo che tiene un braccio perennemente sollevato a mezz'aria, pronto a sostituire il suo collega nel corridoio del titolo:


Certo è che se le vicende qui descritte fossero davvero in grado di ridurre un giornalista (con Q.I. di 140) in vegetale umano, avremmo una spiegazione validissima per i tanti casi disperati che popolano le nostre cronache; purtroppo la cosa è ben lungi dall'essere anche solo vagamente realistica, e non c'è proprio nessuno nel cast che si sforzi per farla apparire tale.

Con un brevissimo cameo del Grande Buddha di Kamakura


sorto dalle memorie del soldato insano, e un paio di sequenze "ipnagogiche" colla donnina in puro stile espressionista Tedesco anni '20


il film è rigido, fiacco, claudicante, prevedibile e sembra infinitamente più vecchio di quello che è; se pensiamo che tre anni prima Hitchcok diresse Psycho (!), alla fine l'unica cosa che possiamo davvero ammirare di questo titolo è la scelta del bianconero. Fuller stesso, che compare in questa scena col solito sigaro in bocca:


diceva di averlo girato in 10 giorni su un unico set; non c'è da stupirsi per un simile risultato.
Il mio magnanimo giudizio sarà, quindi: affrettato.

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