Il mondo è il quartiere Tomobiki, e il centro del mondo è la casa dei Moroboshi.
Questa è l'apocalittica visione di
Urusei Yatsura 2: Byûtifuru dorîmâ di M. Oshii (1984)
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che seppure derivato da un episodio della serie, a differenza del primo lungometraggio ha tutti i numeri e la consistenza di un vero film. E che razza di film.
Dopo un incipit catastrofico in cui Mendo porta il suo carrarmato personale in classe per i preparativi del festival scolastico:
in linea con l'esagerismo del serial, le cose cominciano a farsi confuse, quando il giorno del sospirato evento sembra non arrivare mai, e i preparativi al contrario si protraggono all'infinito. Mentre la risoluzione di questa prima parte rimanda al famoso giorno-senza-fine di Groundhog Day (1993) il film decolla rapidamente verso tutt'altra rotta, assieme al caccia-bombardiere di Mendo, con Ataru e i suoi compagni di classe aggrappati e incuranti della mancanza di ossigeno, senza fiato di fronte alla sconcertante verità della tradizione Hinduista che si rivela dall'alto ai loro occhi:
Più simile a Ranma ½ (1989) nello stile del disegno, il secondo film di Lamu riassume in sé tutti gli elementi più rilevanti della serie televisiva, a partire da un soggetto quantomeno originale, e ricco di spunti di riflessione sulla cosiddetta realtà -per come la conoscono gli abitanti della mia città, e/o quelli di Tomobiki- rispetto ad un cosiddetto sogno.
Il fattore psike-delico qui è in primissimo piano:
Il fattore psike-delico qui è in primissimo piano:
e un gioco di scatole Giapponesi ispirato dalla storia di Urashima Tarō e innescato dalla maledizione del folletto Mujaki ci mena a distanze siderali, fino alla dimensione genetica
Beautiful dreamer è una piacevole sorpresa, anche per chi -come il blogger- si aspettava una piacevole sorpresa, dopo il non eccelso Onri yû (V.) e soprattutto dopo una delle migliori serie a cartoni animate mai prodotte. Dapprima lento, malinconico e minaccioso, malgrado la familiarità dell'ambiente filmico, si dipana poi in un vortice di fantasie cosmiche, di gags metafisiche e gaie scenette turistiche:
L'unica pecca di questo gioiellino, se proprio dobbiamo trovarne una, è la latitanza della Nostra; mentre nella prima parte è l'infermiera Sakura a dominare le scene, il succedersi di eventi sempre più straordinari, che coinvolgono l'umanità intera (cioé, i personaggi di Tomobiki) non lasciano troppo spazio alla viridescente ninfa spaziale in bikini tigrato
penalizzata, come il suo tesoruccio, da un ulteriore cambiamento dei doppiatori italiani.
Ma non sono certamente questi dettagli che possono rovinarci la piacevolissima visione di un film che non ha nulla da invidiare ai migliori film non-animati in circolazione, per il definitivo stupore del vs. blogger anti-nipponico e misogino, di fronte alla straordinaria opera di una donna Giapponese. Ma è un caso molto più unico che raro, paragonabile solo a quello della leggendaria
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