28/02/10

M for Vendetta

A partire dal film preferito del protagonista mascherato, The count of Montecristo,


V for Vendetta di J. Mc Teigue (2005)

è un vero polpettone di stereotipi e "citazioni" sulla figura dell'uomo mascherato, a eccezione forse della lettera "A", dalla "B" di Batman alla "Z" di Zorro; ambientato in un Regno Unito mediamente distopico (le distopie non-termonucleari lasciano sempre un certo margine di dubbio, di questi tempi) racconta di una orribile sperimentazione del Governo Inglese sui cittadini che ricorda da vicino l'infame unità 731 di Nanking, e attraverso una serie di vicissitudini più o meno prevedibili e tutte più o meno prevedibilmente violente arriva alla minaccia più diretta e più realistica che possa interessare lo spettatore-medio: quella televisiva, ovviamente, e lo fa attingendo a piene mani dalla "realtà multimediale" della minaccia terroristica messa in scena durante il governo di Bush, Blair e Berlusconi... Senza dimenticare un "omaggio" al classico 1984


orwelliano, dove questa volta (vent'anni dopo, parafrasando Dumas) John Hurt fa il verso al Big Brother invece di subirlo. E, per dovere di cronaca, non dimentichiamo una spolverata di pepe nero, riferito a uno qualsiasi dei recenti scandali di pedofilia clericale che in questo caso serve solo da intermezzo tra un omicidio e un'esplosione


e per rendere attraente nell'unico modo possibile l'inconsistente presenza (poco) femminile della protagonista Natalie Portman, travestendola appunto da sexy-lolita da dare in pasto al vecchio sporcaccione cattolico...

Insomma, esiste qualcosa che non abbiamo già visto in questo film?


forse la caduta di Westminster, Big Ben compreso?

Può essere, ma non ci giurerei. E comunque non fa alcuna differenza. Forse il vecchio Stephen Fry con la faccia insanguinata, se non altro insolito, rispetto alle sue apparizioni più comuni; ma in questo caso, data la pochezza della sua parte in un film che -come il precedente- ho scaricato a causa sua, è il minimo che poteva capitargli...
Credo che l'unico elemento davvero inedito per noi sia quindi


the egg in the basket

la colazione filmica più originale dai tempi del french toast di Kramer vs. Kramer...

Non stiamo a insistere sull'ebreità di una roba scritta dai Wachowsky con la Portman prima donna....


ecco, appunto.

Gli ultimi momenti del millennio

Questo film di oggi:


Last Days di G. Van Sant (2005)
☻☻

mi ha fatto pensare alla mia vita da rockstar degli anni '90, e ai due Grandi Errori che NON ho commesso quando Lei -per me, come per chiunque- era la scusa perfetta per fare ogni cosa.
Per fare una vita da rockstar non occorre cantare o suonare e avere un sacco di soldi, questo lo sanno tutti dagli anni '70 in poi; la Triade Infame che costituisce il motto punk è qualcosa di accessibile ad ogni giovane utente che soltanto poi -e forse- si renderà di avere effettivamente vissuto con il grado di incoscienza ultra-puerile e psicodeviante adeguato alla sua età.

Il protagonista del film, Blake -una sorta di Kurt Cobain en travesti- ha commessi entrambi gli Errori maiuscoli, e così facendo ha commesso un errore infinitamente più grande della somma dei due; dopo oltre un decennio, io mi rendo conto che la mia "buona condotta" durante quel periodo (in cui, casualmente, si ascoltavano anche i Nirvana) è all'origine della mia attuale condizione di prigionia personale, di isolamento universale all'interno di una logosfera marcia e diroccata, dove soltanto l'isolamento restituisce l'illusione di pace necessaria a sopportare la Grande Illusione, monotona e chiassosa, del "mondo esterno".


Un uomo può effettivamente decidere del proprio destino commettendo qualche Errore maiuscolo, degno di considerazione, e che lo riguarda in essenza: di creare, o distruggere. Sono le due uniche azioni che -presumo- modificano quanto basta il corso degli eventi affinché l'uomo si possa illudere in maniera assoluta di aver fatto qualcosa in vita sua, fotocopiando geneticamente sé stesso, o togliendo il disturbo. Oggi mi accorgo che Lei -la donna- in quel periodo ha rappresentata la mia tentazione estrema, il bivio tra queste due possibilità con tutti i suoi patologici eccessi verso l'una o l'altra; e che il blogger infine ha snobbate entrambe, con la sua curiosità paradossale sempre rivolta all' Altro, malgrado la consapevolezza dell'entità (illusoriamente) assoluta di questi fattori.


Il blogger J. Thompson e signora, negli anni '90

Le conseguenze di questo non-agire inconsapevolmente taoista, sono ignote al di là delle apparenze che costituiscono la mia vita in fondo ai cieli; con la recrudescenza di lentezza mortale dei miei stati depressivi (attraverso l'automedicazione costante) e l'interesse per qualsiasi idea di sessualità che decade di pari passo da allora, proseguo la mia missione esplorativa del Nuovo Millennio con l'unica certezza di partecipare ad uno scherzo ordito ai miei danni dal principio, da me stesso; che questo scherzo è la mia esistenza in fondo ai cieli, e qualsiasi cosa faccia qui e ora non la potrò mai considerare (vivere, esperire, concepire) altrimenti. Dopo aver visto questo film, mi chiedo: è possibile pentirsi per non aver commesso i giusti errori al momento giusto? Nell'uno o nell'altro caso, adesso avrei qualcosa di meglio da fare che non scrivere un post sul mio blog, questo è certo. Il fatto è che ho sempre scritto qualcosa di simile ad un post su qualcosa come un blog, da che ho memoria; così questo è un post al quale non posso trovare un finale, di questo blog senza fine.

Into the Wilde

Se si può definire buono un film che racconta una storia le cui problematiche di fondo non ti hanno mai sfiorato l'anticamera del cervello, che ha per protagonista un personaggio che non ti ha interessato per più di una settimana di fila nella tua vita -se mai- e che non offre alcunché di nuovo cinematograficamente parlando, con un impianto solido ma convenzionale, una fotografia bella ma non mozzafiato, una perfetta ricostruzione storica ma un solo attore interessante, allora


Wilde di B. Gilbert (1997)
☻☻

è buon film, la cui visione deriva come si sarà intuito dalla mia ricerca di nuovi titoli con il simpatico Fry che qui interpreta il famoso, gaio dandy letterario autore del famoso Ritratto di Dorian Gray;


un film perfetto per la domenica pomeriggio. Ma la simpatia dell'uomo è indefinitamente maggiore nei suoi lavori televisivi in coppia con il neo-superstar catodico Hugh Laurie, per cui la serata è trascorsa in compagnia di questi due mattacchioni i cui numerosi sketches della serie A bit of Fry and Laurie si sono assommati ai miei preferiti su Youtube ai classici dei Monty Python, tra cui la singolare premiazione di JIM Cleese:



Dunque Wilde è un buon film, e Fry è un Inglese Ebreo Omosessuale. E sono le 3 di domenica.

27/02/10

Per un pugno di terra

Il film di oggi:


The limits of control di J. Jarmush (2009)

è il secondo film (di cui sappia) del sotto-genere di Jarmush "negri in attesa", dopo Ghost Dog.
Non è il mio sotto-genere preferito di Jarmush, di cui effettivamente ho amato soltanto il bianconero, al di là di ogni sua personale pretesa filmica; il nero, da solo, non è altrettanto efficace anche se cambia il colore dell'abito (e non l'abito in sé, come avremo poi modo di intuire) quasi in ogni scena, a differenza di Forrest Whitacker che era sempre e soltanto nero. Jarmush semina indizi non troppo enimmatici durante il percorso narrativo, sulla sua nuova ambizione bohèmien: he who thinks that he's bigger than the rest must go to the cemetery, le molecole del legno degli strumenti musicali trattengono in loro la memoria melodica delle note suonate (il legno, come il suonatore, è in gran parte acqua), e il più palese, ma inevitabile:


Il che suggerisce allo spettatore: inutile pensare che in queste due ore avresti potuto fare qualcosa di meglio. Il nostro sporco mestiere, di noi bloggers, è di seminare nuovi dubbi.
The limits of control riflette le ombre del cambiamento essenziale in corso su questo pianeta, che riguarda ogni persona e tutte; è un viaggio nella falsità dell'essere umano sul set del grande film atomico, e della incredula utenza spirituale del Selvaggio Ovest (in una cornice Spagnola da spaghetti western) di fronte alla lenta stridente apertura del sipario quantistico.


E' uno dei film più noiosi degli ultimi 10 anni; e fino alla rivelazione del Cattivo Americano, osservando il protagonista scambiare scatolette di svedesi contenenti foglietti che puntualmente ingolla con il suo doppio espresso, il dubbio è che si tratti soltanto di propaganda per aumentare il consumo di fibre. Dubbio lecito, che tra l'altro non viene del tutto smentito.
Per fortuna sta per uscire Ghostbusters III.

26/02/10

Pupilla mia, fatti capanna

Il film di questa sera:

Cloudy with a chance of meatballs di P. Lord e C. Miller (2009)
☻☻

non è certo roba da gourmet, ma è molto sostanzioso; infatti, malgrado la prevalenza di junk-food in technicolor e porcherie assortite che piovono dal cielo, tutto sommato l'insieme non è troppo stucchevole, o indigesto. E il fatto che precipitazioni sparse di cheeseburgers e hotdogs non comportino l'uccisione di una singola creatura -nemmeno virtuale- è determinante per i miei gusti.

Tratto da un best-seller per bambini che, a giudicare dalle poche pagine reperite sul web, è assolutamente puerile nei versi e non troppo brillante nelle illustrazioni

( )

il film della Sony è un continuo fuoco d'artifizio alimentare digitale che riesce a satollare le pupille, raccontando una storia tristemente vera sulle responsabilità fondamentali dei genitori riguardo i loro eredi e non viceversa, tanto per cambiare; un fattore spesso trascurato tanto dalla letteratura (e a tale riguardo non so se l'opera originale tratti questo tema) quanto dal cinema. Malgrado la seria minaccia dell'indigestione visuale, facilitata dalla velocità psicotica con cui si susseguono le portate, e da una colonna sonora iper-calorica, CWACOM ci regala alcuni personaggi davvero irresistibili (e mi riferisco in particolare a questi 2:

e a questa scenetta soprattutto) e una serie di gag visive, citazioni cine-televisive non eccessive, e trovate scemografiche che vanno dal semplicemente gradevole ad un grado di comicità scientifica che rasenta il nerdismo.

Nondimeno, CWACOM è forse l'unico film in cui vedo letteralmente (o meglio, virtualmente) realizzato un mio sogno, e non parlo di una mera "speranza", ma di una vera e propria esperienza onirica:

la nevicata di gelato. Devo ammetterlo, è qualcosa che mi ha stretto un groppone in gola e mi ha fatto brillare gli occhi. Non so quanti dei disgraziati fast-feeded Americani tra gli spettatori abbiano sognato davvero piogge di polpette, grandinate di salsicce e rovesci di costine (cosa che non mi stupirebbe più di tanto) e abbiano quindi esperito un simile straordinario deja-vu grazie a questo film; io mi accontento di questo, e non è poco.

CWACOM è anche l'unico (credo) film che nei titoli di testa riconosca i meriti collettivi dell' esercito di gente necessaria a mettere in piedi una cosa simile:


Bravi gli interpreti, con una menzione speciale per il vecchio James Caan e un redivivo Mr. T:


Giudizio finale: burrrp!

L'inevitabile nota riguardo l'ingrediente kosher: se non altro, è un gran passo avanti rispetto alla solita manna...

Buffoni alla corte della Regina Nera

Qualche tempo fa, mi aveva impressionato la stupideria d'altissima scuola -per non dire regale- del sovrano condannato a morte in questo episodio della serie Blackadder, che ha per protagonista il famoso Rowan "Bean" Atkinson:



Un personaggio davvero spassoso. Oggi ritrovo lo stesso attore, che scopro essere mr. Stephen Fry, in un documentario BBC su un argomento che mi tocca molto da vicino...
Da dentro, in effetti:

☻☻☻

E' un tema che vorrei poter affrontare apertamente, ed esaustivamente nel mondo delle parole, magari in un' opera più adeguata di un blog, ma che non si presta facilmente all'analisi così come, per quanto sia facile da individuare o diagnosticare, elude anche l'approccio medico-scientifico e psicanalitico; di fatto, ad oggi sappiamo esattamente quali sono i sintomi di questo Malessere Totale, e come per molti altri disturbi abbiamo una vasta scelta di rimedi mirati, più o meno efficaci. Non di meno, non abbiamo la minima idea di quale sia la sua origine, e questo, come per ogni altra patologia, equivale all' impossibilità di sconfiggerla. Quello che ci racconta qui Fry, che sembra un omone simpaticissimo e niente affatto gay nei modi (malgrado i suoi costumi sessuali), non rivela niente di nuovo a proposito, se non che i suoi famosissimi amici:

Robbie Williams

Carrie Fisher

e Richard Dreyfuss

hanno il medesimo "problema"; sono tutti ebrei, d'accordo, ma questa volta non voglio incolparli di essere sempre dappertutto. Chi ne soffre lo sa, e soltanto chi ne soffre sa cosa intendo dire, se dico che non c'è cosa peggiore al mondo. Chi pensa che la "morte" sia la peggiore malattia possibile, evidentemente non conosce l'infinita pena di chi la desidera più di ogni altra cosa.
Il soggetto bipolare ha una peculiare, aberrante tendenza suicida che Fry riassume perfettamente nella frase: "I don't want to kill myself, I just wouldn't mind dying".

L'affermazione di Tony Slattery dà una vaga idea dei pericoli dell'automedicazione
Ribadisco: vaga

Niente, e nessuno al mondo, si possono opporre a questa tendenza generale, e piuttosto potremmo dire che, al contrario, questa tendenza si oppone a tutto, e tutti. Quello che ho sempre detto a riguardo è che non mi chiedo come abbia fatto a sopportarlo per tanto tempo, ma piuttosto come potrò farlo per altri 5 minuti.

Ho sofferto di questo disturbo per più di vent'anni, e ho avuta la rara sfortuna di innamorarmi e sposarmi con uno dei peggiori casi di sindrome bipolare mai registrati negli annali della medicina (chi si somiglia...) La mia auto-terapia è basata prevalentemente sui cannabinoidi, e la mia annosa relazione mi ha insegnato che qualsiasi altro genere di trattamento farmacologico, legale o meno, si riduce ad essere un rimedio cronico che nel migliore dei casi non complica ulteriormente la situazione. E nient'altro.

Un fotogramma emblematico: con quella luce, sembra davvero un mare di ...

Il documentario, per quanto godibile dall'inizio alla fine, non offre un solo indizio valido su un qualsiasi rimedio alternativo -né potevamo aspettarci una cosa simile da un programma TV, di fronte alla longeva inettitudine scientifica internazionale- oltre l'elettroshock, dunque infine forse è proprio la frase di Fry ad offrire un valido spunto di riflessione agli interessati; ovvero, a tutti quelli che sono sopravvissuti a loro stessi fino ad oggi, e che ancora adesso, in un momento di buona, possono evitare di pensare ad ammazzarsi, ma nondimeno continuano a vedere il suicidio come l'unica via di uscita possibile.
E' una situazione di stallo perenne, un equilibrio costantemente precario.

Piccoli maniaci crescono; la mamma ha un armadio pieno di pastiglie colorate per questi moderni bipolaretti

Per quanto mi riguarda, non mi è difficile considerare ogni singolo picco, o "crisi" di questa patologia definita appunto "depressione" (emozionale/affettiva) come un punto estremamente basso sulla scala dei valori emotivi, il fondo di un abisso da dov'è possibile considerare tutto ciò che sembra avere un valore nella nostra esistenza, nel momento in cui paradossalmente lo perde, in un modo che sembra irrimediabile e definitivo; è una breve, straziante "morte dell'anima" che in genere dura ore, o giorni, talvolta settimane, e che assieme a una varietà di modificazioni caratteriali e comportamentali (abusi di ogni tipo compresi, fino al moderato delirio di grandiosità della fase "maniacale") produce altresì una inevitabile deviazione sul nostro percorso esistenziale: oltre quel fondo non si può andare, è necessario cambiare strada. E' una sorta di resurrezione coercitiva, insperata e inattesa ogni volta, e ogni volta si ripresenta come una tappa obbligatoria di un cammino che a cagione delle sue estremità smisurate dà la malsana impressione di avere vissuto 100 anni...



(Canzone che non per caso inizia con la strofa "It doesn't matter if we all die...")
Per il Vs. blogger di fiducia, Jasper L. Thompson, autore del Paradigma del Falso e convinto sostenitore del principio tradizionale del Velo di Maya, questa estrema forma di sofferenza non-fisica è il paradosso più insostenibile e, forse di conseguenza a ciò, l'unico degno del mio martirio ciclico; che in un mondo di assoluta illusione non può esistere nulla di altrettanto doloroso quanto qualcosa che esiste soltanto "nella nostra mente"; e questa, per ora, è l'unica definizione possibile di questo disturbo. Se poi 120' di documentario della BBC non bastano ad allontanare lo spettro bipolare del pomeriggio di fine inverno, possiamo sempre scrivere un bel post; e almeno per adesso, è andata.

25/02/10

The reel deal

A cinque anni dalla prima visione

Giustifica
Aliens of the deep di J. Cameron e S. Quale (2005)
☻☻☻

è ancora uno dei miei film preferiti; è una visione surrale, quella del famoso regista "sci-fi" letteralmente immerso nelle profondità sconosciute del Pianeta Blu, perennemente circondato dall'altissima tecnologia in stile astronavale che permette la sopravvivenza della troupe in condizioni proibitive, effettivamente più prossime a quelle della superficie di altri corpi astrali per temperatura e pressione. E non smette mai di stupire il fatto che a tremila metri di profondità, dove non esiste fotosintesi e la pressione è attorno alle 300 atmosfere, si trovi una delle zone più densamente popolate del mondo:

dove miliardi di piccoli crostacei trovano nutrimento e calore nei pressi di camini vulcanici che emettono flussi di gas venefici ad una temperatura di (qualcosa come) 700 gradi... Quel genere di nozioni che ti puoi forse aspettare in un film di James Cameron, ma il saperlo ambientato su "Terra" è più sconcertante di ogni possibile trovata da sceneggiatore hollywoodiano. E gli abitanti di questo mondo sconosciuto sono più straordinari di quelli inventati dalla fantasia umana:

Intanto nel mondo imperversa la Avatar-mania, che ha reso l'ultimo lavoro di Cameron il film più "ricco" nella storia del cinema; sono certo che è un bel film e che vale la pena d'esser visto, ma personalmente avrei preferito un sequel di questo, a qualsiasi viaggio nello spazio virtuale generato dal computer; questa è "roba vera", e vedendola possiamo renderci conto di quanto ancora ci sia ignoto questo pianeta composto per 2/3 d'acqua, che chiamiamo "Terra".


Un piccolo capolavoro, funestato dai commenti altamente scientifici del team ("Wow", "Amazing", "Awesome", etc.) e da un inserto di città sottomarina forse non del tutto gratuito, ma decisamente sottocosto rispetto agli standard dell'autore... Per un istante si può avere l'impressione che i Monty Phyton abbiano sabotato il film.
E certo, la propaganda NASA è piuttosto invadente; ma senza i loro soldi e i loro mezzi le nostre possibilità di vedere certe cose sarebbero state limitate a maschera e pinne.

24/02/10

Ritorno nel mondo di parole

Dopo due giorni la febbre si è abbassata, dal picco massimo di ieri a 39, al minimo di oggi, 37; ieri non ho potuto fare altro che giacere a letto e dormire il più possibile. Le cosiddette malattie sono tra le forme di vita più affascinanti in fondo al cielo. Nondimeno, questa mattina invece di morbi e virus avevo intorno soltanto puledri, questo significa che le mie preferenze estetiche -o forse soltanto macrovisive- giocano un ruolo predominante nella mia vita onirica.

Sono già tornato alle mie abitudini di consumatore accanito di cinema, e purtroppo tutt'e due i film di oggi hanno un fattore in comune:

Better luck tomorrow di J. Lin (2002)

Lords of Dogtown di C. Hardwicke (2005)

che li ho visti per sbaglio, e non è un errore che intendo commettere di nuovo; per questo li annoto qui nel mio blog.

Dopo l'ennesima delusione per l'ennesimo documentario ufo che non rivela niente a nessuno, mi chiedo: quale interesse potrebbe avere qualsiasi forma di governo nel non rivelare nulla su questo "fenomeno"? Qualcuno dice "nessuno deve sapere del patto che i governi terricoli hanno stretto con gli e.t. per avere tecnologie in cambio di qualche cavia umana"; che il "fenomeno" stesso e il conseguente "coverup" sia roba recente, e malgrado ciò abbiamo decine o centinaia di testi antichi che parlano di "dei" venuti dal cielo; ora, qualcuno dice: l'unico motivo valido per bugie di tale portata e durata non può provenire dall'esterno; abbiamo ormai una certa confidenza con il "coverup" e con teorie di siti, programmi ed esperimenti segreti da parte dei governi, ma l'ipotesi più ovvia, dopo decenni, rimane la più fuori portata per le menti massificate; che la schiatta degli antichi "padroni" di questo mondo sia ancora viva e attiva, e l'unica cosa che il fantomatico "governo" nasconde agli occhi dei suoi elettori è Sé Stesso. Probabilmente, che anche il "fenomeno ufo" è parte del vero "coverup", che infine non riguarda i terricoli, le loro possibili risorse e la loro realtà materiale, ma ciò che tutt'ora viene loro negato riguardo la loro vera essenza, la cosiddetta "anima", ciò che in una cultura materialistica come questa viene considerato trascendente, e quindi "metafisico".

22/02/10

Il segreto del film vecchio

Questo film

è talmente famoso che ne ho trovato una sola -pessima- copia nel torrent, e su IMDB troviamo il commento di un unico Utente Filmico -- Americano!
Tratto da un'opera ecologica ante-litteram di Buzzati, è abbastanza fantastico da permettermi di usare a proposito l'aggettivo che ultimamente va per la maggiore qui nel mio blog, di fiabesco; che è sicuramente l'aggettivo adatto allo spirito dell'opera letteraria, ma purtroppo non alla legnosità del film, che è un film alla vecchia maniera ma è soprattutto un film della terza età, senza il benché minimo guizzo di vitalità cinematica a sostenere l'architettura surreale di matrice buzzatesca.

Buzzati scrisse il suo breve romanzo nel 1953, quando nel Belpaese cominciavano a intravedersi i primi segnali del consumismo importato dagli USA che avrebbero presto portato al "boom" dei '60 e al cataclisma industriale, assieme alla piaga psico-sociale della TV (qui simboleggiata forse dalla primordiale radio a valvole). Benché sembri un'epoca lontanissima, in cui forse la gente credeva ancora di più alle stesse favole in cui crede oggi, l'Autore adottò lo stratagemma di assimilare ad ogni albero del suo bosco una entità (o genio) tanto misteriosa quanto in apparenza del tutto umana; nella riduzione per il grande schermo, inevitabilmente, queste entità sono interpretate da gente in carne ed ossa, come il vecchio Sallustio:

E in questa figurazione antropocentrica è facile per me scorgere l'errore madornale, del voler indurre ad una seria riflessione sulla salvaguardia del proprio habitat con tutta la sua "biodiversità" il cittadino alfabetizzato (o catodizzato) attraverso la pietà per un suo simile; il fatto è che un bosco di gente non sarebbe affatto accogliente, sarebbe una minaccia anziché un riparo e non produrrebbe ossigeno neanche per un moscerino. Anzi. Sarebbe soltanto un altro posto da evitare, come ogni centro abitato. Per tutto quello che hanno fatto, e continuano a fare gli umani, il mio problema è l'opposto; che per rendermi simpatico un Sallustio qualsiasi sarebbe necessario farmi credere che è un platano di professione.

Immagino che non sia lo stesso per la maggioranza, e sicuramente non lo è nemmeno per uno che -ironia della sorte- di nome fa Olmi. In ogni caso, sostenuto da una bella fotografia di Dante Spinotti e dalle note piuttosto ligetiche di Franco Piersanti, il film si lascia vedere fino alla fine anche trasformato in un divx dalla compressione quasi offensiva; il problema è che in 134' non riesce a darmi l'emozione di 2 minuti in un bosco qualsiasi, e questo non è un mio problema.

Geografia del sogno

Questa mattina, svegliato prima dell'alba per qualche motivo, nel bel mezzo di un sogno, ho avuta l'occasione di constatare per la seconda volta (almeno) l'esistenza di un "fattore geografico" legato allo scenario della montagna; per inciso, qui dall'alto vedevo una bellissima lince e il suo cucciolo stesi uno di fianco all'altro sulla strada sottostante, e provavo a lanciare loro dei bocconi di pane, al che soltanto l'adulto si alzava e si avvicinava. Ma attorno alla visione, credo che fosse l'ambiente stesso a prendere forma in maniera estremamente frattale, in una sorta di aggregazione che avrebbe potuto essere ugualmente macro o micro-cosmica; va notato che -sempre in questo scenario onirico- avevo già osservato al risveglio un "terrore di tipo geografico", dove l'ambiente stesso costituiva la minaccia, mentre è la prima volta in cui ho memoria di questa astrazione.
Dopo essermi riaddormentato, questa mattina mi sono svegliato mentre camminavo per casa tenendo un cane (il vecchio Rocky) per le zampe anteriori, tentando scherzosamente qualche passo di danza con lui.

21/02/10

Buona domenica

Per iniziare bene una domenica, come ogni altro giorno della settimana, occorre una tazza di caffé bollente e un piccolo jay; in genere, la modernissima abitudine delle news sul computer -anziché sulla carta- è secondaria perché il 99% delle notizie non mi interessano affatto. Ma QUESTA pubblicata dalla Agenzia Nazionale Stampa Associata è una "buona" notizia, che merita di essere ritagliata e incollata sul mio blog. Non dice nulla che non sapessi già, da 25 anni a questa parte, e dice poco; la novità è che LO DICE, e dopo oltre 70 anni di proibizione, oppressione e disinformazione la cosa mi appare più sorprendente del solito avvistamento di ufo. Lo prendo come il primo segnale di cambiamento che -ovviamente, come il proibizionismo- arriva dagli US:

Cliccare QUI per la pagina ANSA, e qui per l'incredibile paginata odierna di Google. E buona domenica a tutti i miei affezionati lettori.

gulp

Crash di P. Haggis (2004)

non è malaccio; malgrado i vari incidenti d'auto sparsi per il film, il titolo si riferisce più verosimilmente allo scontro culturale di svariate etnie nel quadro più cinematografico possibile, L.A.; Paul Haggis ha scritto un numero imprecisato di episodi dei serial Love Boat, Scooby Doo and Scrappy Doo, Facts of Life -tra gli altri- e ben 196 Walker Texas Ranger. Non ce 'è uno solo che valga la pena di esser visto, ma quel che è certo è che il tizio conosce il suo mestiere.

Questo film non ha niente a che fare con la morte di James Dean.
Mi pare un'ottimo lavoro di regia del cast, e un prodotto professionalmente impeccabile.
Vi regalo il poster, che è venuto via in omaggio con il fil(e)m:

Io non saprei che farmene.

19/02/10

Entertainment



Cosa dovremmo fare, oggi? Espandere la nostra percezione fino a discernere l'illusione che inganna il nostro veicolo mammifero in ogni particolare; il freddo sul viso, i suoni, gli odori, il selciato sotto i piedi. L'illusione differenziata delle persone attorno, delle diverse forme animate che sembrano essere umani; la percezione isolata del sognatore, del Punto Centrale che è la nostra steadycam ambulante, il riflesso della nostra coscienza in loro, nella luce riflessa dei loro occhi; il Centro ideale da cui irradia la Grande Visione; questo è tutto quello che abbiamo da conoscere, amare e combattere, perché soltanto nella guerra c'è vita.

Tutto è Assolutamente Falso, e tutto quello che dobbiamo fare è saperlo.

Un altro Jan

Oggi il Vs. blogger preferito, Jasper L. Thompson, ha 43 anni e 52 giorni; purtroppo a volte mi capita ancora di interrogarmi sul motivo di tutto questo cosiddetto "tempo" buttato in fondo ai cieli, e questo oggi mi ha portato su Dead At Your Age, il sito dov'è possibile scoprire chi è morto alla tua età attuale; una distrazione che è un passo avanti -ad es.- rispetto ad un pub, ma non è comunque risolutiva per ovviare a questo problema cronico (o cronologico). Non tutti sanno che il mio nomignolo più comune fuori dai blog è Jan (o Jean). Comunque sia, stranamente, l'unico tizio famoso che sia morto a questa età (e quasi 2 settimane più giovane di me, oggi) è proprio Jan Vermeer, il pittore la cui opera era il soggetto del film dell'altra sera (V.) ma alla quale non ho mai dedicata una particolare attenzione, malgrado la mia preparazione scolastica. Tra l'altro il suo famoso dipinto La ragazza con l'orecchino di perla ha ispirato un romanzo del 1999 che è stato trasposto sul grande schermo nel 2003, in un film omonimo. Non conosco l'una o l'altra opera, al di là del loro unico titolo. Forse il suo lavoro più famoso è La lattaia, dove è riconoscibile immediatamente la sua maestria nell'uso della luce:

Oggi, quando ho due settimane più della sua estrema vecchiezza, lo ricordo qui attraverso l'inconfondibile ritratto del suo fantasma ad opera di S. Dalì:

Ora non oso immaginare cos'altro escogiterò per distrarmi quando saprò di avere vissuto un mese in più di Vermeer, ma per adesso mi accontento, e mi limito ancora soltanto ad un gin&tonic per arrivare all'ora di cena.

Film Marrone

Se qualcuno pensava che 300 fosse una ben riuscita sperimentazione visuale, realizzata solo grazie ai prodigi del computer, dovrebbe vedersi questo

Forbrydelsens element di L. Von Trier (1984)
☻☻

aka "The element of crime", dove l'affascinante, notevolissima opera di production design è quasi completamente annichilita dalla sadistica lentezza dell'azione e dall'intrico irreparabile di elementi non-criminali (non cinematograficamente, almeno) messi in scena su uno sfondo caotico, fatiscente, fradicio e marcio che ricorda il grande Tarkovwsy di Stalker, in quello che probabilmente è il primo film in marrone e nero mai realizzato.

Di fatto, F.E. è un lungo flashback vissuto durante una seduta ipnotica, dove un medico obeso con una scimmia sulla spalla ascolta il racconto del protagonista Fisher, ex-poliziotto assillato dall'emicrania, richiamato in servizio per risolvere un caso insolvibile attraverso gli insegnamenti di un vecchio criminologo suonato, autore del libro

che porta lo stesso titolo del film. Più lento di Manhunter (1986) in quanto serial-killer-movie di tipo "psicologico" -ma senza un Cattivo in grado di reggere il gioco come il famoso Hannibal- e infinitamente più ardito nella manipolazione diretta della materia filmica, F.E. potrebbe aver ispirato il Parker di Angel Heart (1987) almeno per il tasso di umidità delle scene, mentre la trasfigurazione dello scenario semi-liquido in un teatrino di ombre è dichiaratamente derivata dall'espressionista M di Lang. Non per niente, anche qui l'assassino preferisce le bimbette, e le inquadrature dall'alto non si contano... Se è possibile evitarlo.
L'oscurità dominante e il ritmo minimale imposto dal montaggio, dai dialoghi, e dalla voce-off atona e cantilenante, possono effettivamente sortire il risultato che si ricerca in ogni seduta ipnotica, a discapito dell'attenzione per il film; da evitare in un giorno di pioggia come questo, F.E. resta pericolosamente in bilico tra la visione onirica e l'unico elemento davvero indispensabile ad ottenerla, che è il sonno.

Con una unica grande sorpresa, questo adorabile potto che la torcia del protagonista illumina in fondo a una buca nel terreno appena prima dei titoli di coda, simbolo vivente e definitivo di un mistero che rimane inalterato dopo 104' e non ho nessuna intenzione di indagare più a lungo.

Eva contro Eva

E' riaffiorato lentamente, mentre lo rivedevo ieri, il ricordo di

Stroszek di W. Herzog (1977)
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dall'abisso mutante delle memorie di un millennio passato. Sicuramente non ricordavo la gracula, ma l'impatto dell'esportazione in America di un elemento come Bruno S., la sua professionale amichetta Eva e il vecchio Scheitz, che nella parte finale è complice di uno dei crimini più patetici della storia del cinema quando, trovata chiusa la banca, i due rapinano un vecchio barbiere

(che inforca gli occhiali per guardare i rapinatori da vicino) e, attraversata la strada, fanno la spesa al supermarket con il bottino... Mentre le sirene si avvicinano. Film "altro" a partire dall'attore protagonista, che fu già Kaspar Hauser per Herzog, e che qui si merita pienamente il titolo grazie alla sua apparentemente completa estraneazione dallo scenario filmico/universale; egli davvero "isn't all there", e questo lo rende un supereroe invincibile del cinema internazionale di tutti i tempi. Malgrado la bizzarria complessiva, questo viene definito nondimeno il film "più accessibile" di W.H., grazie ad una trama estremamente lineare e alla "realtà di strada" ricostruita tra Berlino e Plainfield (WI). Gli aneddoti che ci racconta IMDB a proposito sono tutti interessanti; tra l'altro, saputo di essere stato scartato dal cast di Woyzeck in favore di Kinski, il protagonista rispose che aveva già preso un permesso di lavoro alla fonderia in cui lavorava, al che Herzog scrisse un film basato sulla sua vita reale in tre giorni, intitolandolo con il suo nome... E alla fine si trovò a girare da solo l'enigmatico finale, quando tutta la troupe si era rifiutata di farlo. Etc. Ma l'enigma principale rimane: si può davvero misurare la carica elettrostatica di una persona con un voltmetro, come fa il vecchio Scheitz?

William J. Beaty qui ci dice che non soltanto è possibile farlo, grazie ad un comune Voltmetro Elettrostatico, ma che la cosiddetta "elettricità statica" è in effetti Alta Tensione (!)
Infine, una nota merita la scena definita a tratti "haunting", "disturbing", "spooky", etc., etc. sull' internet, the (in)Famous Dancing Chicken in a box:

che dopo la donna-gallina di Freaks è uno degli spettacoli più desolanti e penosi in circolazione (probabilmente ancora visibile in qualche parte del Wisconsin)...

Un altro kiwi-flavoured movie è

The quiet Earth di G. Murphy (1985)
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che al pari di The Omega Man e della precedente riduzione omonima di I am legend (così come quella moderna, che non ho vista) ci presenta uno scenario assolutamente deserto, quando Zac Hobson si risveglia su un pianeta ripulito -per errore- dai parassiti umani... La differenza principale è che Zac non abita in Italia (come Vincent Price) o in America (come Charlton Heston) ma in una verde landa tolkieniana resa ancor più idilliaca dall'assenza dei terricoli...
Purtroppo il protagonista rivela presto una mente alquanto labile

probabilmente a causa dei suoi trascorsi nel mondo scientifico, e il suo attaccamento per i resti di una civiltà vergognosa, che sarebbero stati presto nascosti dalla ricca vegetazione, lo portano a restare sulla scena del delitto fino all'inevitabile incontro con altri due suicidi/sopravvissuti, e al tentativo fallimentare (warning: spoiler) di "invertire il processo" con una camionata di tritolo.

Anche qui la protagonista femminile è una Eva, e il suo ruolo non può distaccarsi più di tanto da quello della sua omonima Tedesca, come da quello della mitologica progenitrice. Anche qui (come in Eagle Vs. Shark) un Samoano appare inizialmente come potenziale minaccia, che presto si rivela inconsistente; potrà essere uno stereotipo degli indigeni kiwi, ma qui non subisce la simbologia della sedia a rotelle, e se non altro è lui a farsi (warning: spoiler) l'atavica mignotta.

Alla fine, credo che una delle prime lezione di una Scuola Utopica consisterebbe dell'esperimento di Schitz: "Vedete, bambini, siamo tutti pupazzi elettrici, ologrammi atomici animati da una carica elettromagnetica limitata."... Questo potrebbe creare dei laureati degni dell'alloro. Forse.