27/02/10

Per un pugno di terra

Il film di oggi:


The limits of control di J. Jarmush (2009)

è il secondo film (di cui sappia) del sotto-genere di Jarmush "negri in attesa", dopo Ghost Dog.
Non è il mio sotto-genere preferito di Jarmush, di cui effettivamente ho amato soltanto il bianconero, al di là di ogni sua personale pretesa filmica; il nero, da solo, non è altrettanto efficace anche se cambia il colore dell'abito (e non l'abito in sé, come avremo poi modo di intuire) quasi in ogni scena, a differenza di Forrest Whitacker che era sempre e soltanto nero. Jarmush semina indizi non troppo enimmatici durante il percorso narrativo, sulla sua nuova ambizione bohèmien: he who thinks that he's bigger than the rest must go to the cemetery, le molecole del legno degli strumenti musicali trattengono in loro la memoria melodica delle note suonate (il legno, come il suonatore, è in gran parte acqua), e il più palese, ma inevitabile:


Il che suggerisce allo spettatore: inutile pensare che in queste due ore avresti potuto fare qualcosa di meglio. Il nostro sporco mestiere, di noi bloggers, è di seminare nuovi dubbi.
The limits of control riflette le ombre del cambiamento essenziale in corso su questo pianeta, che riguarda ogni persona e tutte; è un viaggio nella falsità dell'essere umano sul set del grande film atomico, e della incredula utenza spirituale del Selvaggio Ovest (in una cornice Spagnola da spaghetti western) di fronte alla lenta stridente apertura del sipario quantistico.


E' uno dei film più noiosi degli ultimi 10 anni; e fino alla rivelazione del Cattivo Americano, osservando il protagonista scambiare scatolette di svedesi contenenti foglietti che puntualmente ingolla con il suo doppio espresso, il dubbio è che si tratti soltanto di propaganda per aumentare il consumo di fibre. Dubbio lecito, che tra l'altro non viene del tutto smentito.
Per fortuna sta per uscire Ghostbusters III.

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