Qualche tempo fa, mi aveva impressionato la stupideria d'altissima scuola -per non dire regale- del sovrano condannato a morte in questo episodio della serie Blackadder, che ha per protagonista il famoso Rowan "Bean" Atkinson:
Un personaggio davvero spassoso. Oggi ritrovo lo stesso attore, che scopro essere mr. Stephen Fry, in un documentario BBC su un argomento che mi tocca molto da vicino...
Da dentro, in effetti:
Da dentro, in effetti:
Stephen Fry: The secret life of the manic depressive di R. Wilson (2006)
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E' un tema che vorrei poter affrontare apertamente, ed esaustivamente nel mondo delle parole, magari in un' opera più adeguata di un blog, ma che non si presta facilmente all'analisi così come, per quanto sia facile da individuare o diagnosticare, elude anche l'approccio medico-scientifico e psicanalitico; di fatto, ad oggi sappiamo esattamente quali sono i sintomi di questo Malessere Totale, e come per molti altri disturbi abbiamo una vasta scelta di rimedi mirati, più o meno efficaci. Non di meno, non abbiamo la minima idea di quale sia la sua origine, e questo, come per ogni altra patologia, equivale all' impossibilità di sconfiggerla. Quello che ci racconta qui Fry, che sembra un omone simpaticissimo e niente affatto gay nei modi (malgrado i suoi costumi sessuali), non rivela niente di nuovo a proposito, se non che i suoi famosissimi amici:
Robbie Williams
Carrie Fisher
e Richard Dreyfuss
hanno il medesimo "problema"; sono tutti ebrei, d'accordo, ma questa volta non voglio incolparli di essere sempre dappertutto. Chi ne soffre lo sa, e soltanto chi ne soffre sa cosa intendo dire, se dico che non c'è cosa peggiore al mondo. Chi pensa che la "morte" sia la peggiore malattia possibile, evidentemente non conosce l'infinita pena di chi la desidera più di ogni altra cosa.
Il soggetto bipolare ha una peculiare, aberrante tendenza suicida che Fry riassume perfettamente nella frase: "I don't want to kill myself, I just wouldn't mind dying".
Il soggetto bipolare ha una peculiare, aberrante tendenza suicida che Fry riassume perfettamente nella frase: "I don't want to kill myself, I just wouldn't mind dying".
Niente, e nessuno al mondo, si possono opporre a questa tendenza generale, e piuttosto potremmo dire che, al contrario, questa tendenza si oppone a tutto, e tutti. Quello che ho sempre detto a riguardo è che non mi chiedo come abbia fatto a sopportarlo per tanto tempo, ma piuttosto come potrò farlo per altri 5 minuti.
Ho sofferto di questo disturbo per più di vent'anni, e ho avuta la rara sfortuna di innamorarmi e sposarmi con uno dei peggiori casi di sindrome bipolare mai registrati negli annali della medicina (chi si somiglia...) La mia auto-terapia è basata prevalentemente sui cannabinoidi, e la mia annosa relazione mi ha insegnato che qualsiasi altro genere di trattamento farmacologico, legale o meno, si riduce ad essere un rimedio cronico che nel migliore dei casi non complica ulteriormente la situazione. E nient'altro.
Un fotogramma emblematico: con quella luce, sembra davvero un mare di ...
Il documentario, per quanto godibile dall'inizio alla fine, non offre un solo indizio valido su un qualsiasi rimedio alternativo -né potevamo aspettarci una cosa simile da un programma TV, di fronte alla longeva inettitudine scientifica internazionale- oltre l'elettroshock, dunque infine forse è proprio la frase di Fry ad offrire un valido spunto di riflessione agli interessati; ovvero, a tutti quelli che sono sopravvissuti a loro stessi fino ad oggi, e che ancora adesso, in un momento di buona, possono evitare di pensare ad ammazzarsi, ma nondimeno continuano a vedere il suicidio come l'unica via di uscita possibile.
E' una situazione di stallo perenne, un equilibrio costantemente precario.
E' una situazione di stallo perenne, un equilibrio costantemente precario.
Piccoli maniaci crescono; la mamma ha un armadio pieno di pastiglie colorate per questi moderni bipolaretti
Per quanto mi riguarda, non mi è difficile considerare ogni singolo picco, o "crisi" di questa patologia definita appunto "depressione" (emozionale/affettiva) come un punto estremamente basso sulla scala dei valori emotivi, il fondo di un abisso da dov'è possibile considerare tutto ciò che sembra avere un valore nella nostra esistenza, nel momento in cui paradossalmente lo perde, in un modo che sembra irrimediabile e definitivo; è una breve, straziante "morte dell'anima" che in genere dura ore, o giorni, talvolta settimane, e che assieme a una varietà di modificazioni caratteriali e comportamentali (abusi di ogni tipo compresi, fino al moderato delirio di grandiosità della fase "maniacale") produce altresì una inevitabile deviazione sul nostro percorso esistenziale: oltre quel fondo non si può andare, è necessario cambiare strada. E' una sorta di resurrezione coercitiva, insperata e inattesa ogni volta, e ogni volta si ripresenta come una tappa obbligatoria di un cammino che a cagione delle sue estremità smisurate dà la malsana impressione di avere vissuto 100 anni...
(Canzone che non per caso inizia con la strofa "It doesn't matter if we all die...")
Per il Vs. blogger di fiducia, Jasper L. Thompson, autore del Paradigma del Falso e convinto sostenitore del principio tradizionale del Velo di Maya, questa estrema forma di sofferenza non-fisica è il paradosso più insostenibile e, forse di conseguenza a ciò, l'unico degno del mio martirio ciclico; che in un mondo di assoluta illusione non può esistere nulla di altrettanto doloroso quanto qualcosa che esiste soltanto "nella nostra mente"; e questa, per ora, è l'unica definizione possibile di questo disturbo. Se poi 120' di documentario della BBC non bastano ad allontanare lo spettro bipolare del pomeriggio di fine inverno, possiamo sempre scrivere un bel post; e almeno per adesso, è andata.
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