Se qualcuno pensava che 300 fosse una ben riuscita sperimentazione visuale, realizzata solo grazie ai prodigi del computer, dovrebbe vedersi questo
Forbrydelsens element di L. Von Trier (1984)
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aka "The element of crime", dove l'affascinante, notevolissima opera di production design è quasi completamente annichilita dalla sadistica lentezza dell'azione e dall'intrico irreparabile di elementi non-criminali (non cinematograficamente, almeno) messi in scena su uno sfondo caotico, fatiscente, fradicio e marcio che ricorda il grande Tarkovwsy di Stalker, in quello che probabilmente è il primo film in marrone e nero mai realizzato.
Di fatto, F.E. è un lungo flashback vissuto durante una seduta ipnotica, dove un medico obeso con una scimmia sulla spalla ascolta il racconto del protagonista Fisher, ex-poliziotto assillato dall'emicrania, richiamato in servizio per risolvere un caso insolvibile attraverso gli insegnamenti di un vecchio criminologo suonato, autore del libro
che porta lo stesso titolo del film. Più lento di Manhunter (1986) in quanto serial-killer-movie di tipo "psicologico" -ma senza un Cattivo in grado di reggere il gioco come il famoso Hannibal- e infinitamente più ardito nella manipolazione diretta della materia filmica, F.E. potrebbe aver ispirato il Parker di Angel Heart (1987) almeno per il tasso di umidità delle scene, mentre la trasfigurazione dello scenario semi-liquido in un teatrino di ombre è dichiaratamente derivata dall'espressionista M di Lang. Non per niente, anche qui l'assassino preferisce le bimbette, e le inquadrature dall'alto non si contano... Se è possibile evitarlo.
L'oscurità dominante e il ritmo minimale imposto dal montaggio, dai dialoghi, e dalla voce-off atona e cantilenante, possono effettivamente sortire il risultato che si ricerca in ogni seduta ipnotica, a discapito dell'attenzione per il film; da evitare in un giorno di pioggia come questo, F.E. resta pericolosamente in bilico tra la visione onirica e l'unico elemento davvero indispensabile ad ottenerla, che è il sonno.
Con una unica grande sorpresa, questo adorabile potto che la torcia del protagonista illumina in fondo a una buca nel terreno appena prima dei titoli di coda, simbolo vivente e definitivo di un mistero che rimane inalterato dopo 104' e non ho nessuna intenzione di indagare più a lungo.
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