17/10/09

Māyā

Sono ormai cosciente del fatto che in questa "dimensione olografica", che viene altrimenti definita illusione materiale, il nostro stato di incoscienza controllata non ci permetta di comprendere la realtà sottile o "metafisica" che sostiene e alimenta la manifestazione, fintanto che la nostra auto-suggestione perpetua uno "stato ordinario della coscienza" in cui una dimensione esteriore materica ci appare ed è considerata non meno reale della nostra dimensione interiore ed eterea, attraverso la continua ricerca di percezioni sensoriali nelle quali si realizza l'illusione stessa.

Tutti noi abbiamo una coscienza sopita, una "intuizione" di ogni cosa e di tutto che travalica ogni possibile percezione sensoriale, quindi la così detta "logica", e di conseguenza il nostro stesso "pensiero"; la abitudine delle intossicazioni rituali comune a tante civlità in diverse epoche della storia, oggi ufficialmente limitata alle culture tradizionali tribali e sciamaniche, ci dimostra che attraverso una sostanza psichedelica l'uomo è da sempre in grado di trascendere lo stato grossolano in cui è costretto dalla nascita -che sia un cacciatore di teste o un avvocato- per ri-conoscere in sé il principio della sacralità stessa, e comprendere attraverso il proprio flusso esistenziale la fonte dell'energia primaria che anima la manifestazione "esteriore" di cui paradossalmente sembra partecipare la nostra persona -- ma le possibilità che sia vero il contrario sono le stesse.

Il "sogno" può essere definito come uno "stato di estrema modificazione della coscienza", da che la illusione materiale è momentaneamente sospesa, o meglio, ridotta ai minimi termini assieme alle "funzioni vitali" del pondo; nondimeno, ogni episodio onirico induce a credere che questo stato "non ordinario" del sogno sia altrettanto "reale" quanto l'"ordinario" esperito in questa condizione di incoscienza controllata; la differenza consiste appunto nella capacità di controllo, che nella maggior parte dei casi non corrisponde ad una capacità intellettiva o volitiva mediata dal "pensiero logico", ma quasi certamente corrisponde nell'insieme alla realtà stessa che vive il sognatore.

Le intossicazioni da sostanze definite "psichedeliche" -che "mostrano l'anima"- o "enteogeniche" -che "creano dio"- sembrano stranamente sortire i medesimi risultati; che sono paragonabili ai "sogni" quando si tratta di allucinogeni (malgrado gli occhi possano registrare una "realtà esterna" simile -ma non identica- a quella considerata ordinaria) e che in vario grado si manifestano nella assunzione di cannabinoidi e oppiacei, in genere senza indurre uno stato di totale distacco dalla sfera materiale, ma rivelando le infinite possibilità della nostra mente di percepire per vie misteriose, quanto dirette, una idea della realtà umana infinitamente più vasta e profonda e intensa di quella normalmente considerata come tale.

Come dimostrano queste parole, queste sostanze cannbinoidi elette a vizio di sostegno, o semplice abitudine, da un lato ci consentono di espandere la nostra percettività a livelli altrimenti inconoscibili, mentre dall'altro il loro apocalittico potere, di cui si ha notizia soltanto con le prime "visioni", si trova nel tempo sottomesso alle medesime limitazioni che interessano i normali processi intellettuali e creativi della mente "inalterata", con il rischio di accettare ogni quotidiana assurdità di ogni possibile realtà "esterna" sulla base di pensieri (ergo, parole) prefabbricati e immutabili; queste parole, questo patetico tentativo di ridurre in parole poverissime tutto ciò che è indescrivibile e diviene quindi incomprensibile in un mondo fondato sulla Parola, sono la prova inconfutabile della genuinità delle mie affermazioni, che riguardano e interessano lo scrittore soltanto.

In questa visione -dello scrittore- il fattore Altro che ci mette letteralmente in relazione con ogni possibile Altro Mondo, viene mediato allo stesso modo delle visioni mistiche e cinematografiche, attraverso il medesimo logos che rappresenta il principio della sottomissione ideale e del materialismo "cattolico", ovvero imposto al mondo conosciuto attraverso la Parola; questo esclude automaticamente tutto ciò che ci interessa nell'insieme, ovvero ciò che è (e rimane, per forza di cose) sconosciuto; la nostra "realtà interiore" distinta da una "esteriore" e dalla possibilità estrema di comprenderle entrambe su un medesimo piano illusorio, non appartiene -ed è una cosa ovvia dalla nascita di una (falsa) "scienza ecologica"- all'ordine naturale di questa entità planetaria; la mia coscienza consiste dunque principalmente della mia ignoranza individuale, rispetto alla conoscenza "istintiva" della entità planetaria soggiogata dall'uomo; che l'uomo "riconosca in sé il dio" come si auspicava qualcuno secoli fa, è tutt'ora una rosea speranza che da sempre contrasta con il mito di ogni tempo dove i protagonisti sono creature celestiali, esseri discesi dall'Alto; allo stesso modo le scienze neonate della paleoastronautica e della clipeologia tendono invariabilmente a considerare "scientificamente" gli aspetti storici, concreti, sostanziali, ed essenzialmente illusori di un "tempo passato", escludendo a priori quelli propriamente metafisici e intuitivi che sono all'origine di questa "corrente di pensiero" volta alla ricerca dell'Altro, rimandando in questo modo ogni risultato ad un perenne "tempo futuro". La verità è ancora Qui, e soltanto Ora.

Che la Tradizione esoterica guardi a tutti i pianeti di questo "sistema solare" come a diverse sfere dell'Essere che corrispondono a tappe di un percorso evolutivo (come del resto, in maniera incredibilmente confusa, corrispondono alle divinità del pantheon classico) non interessa ad es. la gran parte di chi considera gli "ufo" prodotti tecnologici di una specie del tutto estranea a quella umana; la illusione di questa realtà sublunare non permette ai più di considerare la realtà Solare quale sorgente viva della idea (visione) del Sacro, benché siano tutt'ora le radiazioni elettromagnetiche del medesimo astro a permettere la loro esistenza in fondo a questi cieli. Etc., etc. E' la incapacità congenita di questa schiatta, di considerare Ogni Cosa nel Tutto di cui partecipa il germe della ignoranza assoluta, per cui la ignoranza di un singolo fattore nella nostra visione d'insieme si manifesta in una ignoranza che interessa il Tutto; in primis, questa ignoranza riguarda la propria individualità al di fuori della logosfera cattolica, la conoscenza di sé al di là della parola che ci distingue dagli altri (il "nome") e delle nostre esperienze quotidiane ed esistenziali distinte da quelle notturne, o "psichedeliche", e collettive.

Noi tutti siamo raggi di Sole, che riflettono in fondo ai cieli un istante di vita; la nostra fonte è la stessa, e nessuno di noi è simile all'altro.
Noi tutti siamo un Sole, nel buio completo; un giorno vivremo della nostra stessa luce, in un nostro cielo.
Quel giorno sacro, per ognuno di noi, è sempre più vicino.




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