27/10/09

A proposito dell' essere umani /1

La mia espressione -elemento di fortiana memoria- è che il Segreto imposto sull'argomento ormai globalmente etichettato come "UFO" coinvolga tutti quegli aspetti non-materialistici dei quali l'umanità coeva è altrettanto ignara; che non soltanto la modificazione essenziale dell'essere chiamata "morte" non corrisponda affatto ad una cessazione, quanto ad una transizione verso l' Altro, in cui l'elemento sbrigativamente identificato come "alieno" partecipa in maniera decisiva, ma -ovviamente- che questa intera "proiezione olografica" in fondo ai cieli (o illusione materiale) esperita dall'essere umano a partire dalla propria sostanza fisica attraverso le attività sensoriali sia di fatto una sorta di messinscena ad opera di una entità ignota, destinata a rimanere tale in virtù del fatto che la sua manifestazione terrena (o materiale) ha luogo in una forma comprensibile soltanto nella realtà dell'essere umano stesso, nella sua stessa logosfera; che in questa architettura si celi di fatto il Mistero Ultimo dell' uomo, le cui implicazioni sono di tale gravità da giustificare tutti gli sforzi di ogni governo istituito -sotto il controllo delle religioni monoteiste- per negare ai popoli una conoscenza dello stato delle cose che contrasta in maniera assoluta con lo status quo della cultura materialista, e con tutte le falsità imposte come realtà definitive ed immutabili.

In quest'ottica vediamo riflessa ogni sorta di figurazione -in termini materialistici, incarnazione- mitologica dell'essere divino, a partire dagli antichissimi avatara della Tradizione Indiana (tra cui Krishna e Buddha) fino al più -storicamente- recente Gesù Cristo, attraverso la famosa saga di Egizi e Sumeri (così come vi possiamo riconoscere il principio oggi noto come "campo unificato", una semplice e inevitabile degradazione ideale del Grande Mistero); in ognuno dei casi religiosi, i ricercatori che oggi si dedicano ai fenomeni di esobiologia e paleoastronautica avvenuti nell'antichità tendono ad assimilare l'entità divina a quella "aliena", mentre in genere viene del tutto ignorato il fatto che delle stesse cronache descritte in termini simbolici, o allegorici (come nei sogni, e tutto ciò che elude la mera logica) partecipa la stessa genesi dell'umanità, che da chiunque o qualsiasi cosa discenda, in qualunque modo sia andata, e in qualunque momento sia successo, permane la stessa Qui, e Ora. Dunque il mistero non risiede nelle scritture sacre sepolte nella polvere dei millenni e riesumate quotidianamente per la nostra delizia intellettuale, ma nella nostra facoltà di ri-conoscere nelle esperienze quotidiane di questa manifestazione quella "verità" che non trova alcuna corrispondenza all'interno di questa logosfera globalizzata, se non in quanto semplice parola (o termine). Per fare questo, è necessario avere un certo grado di consapevolezza della illusorietà del nostro stato cosiddetto di "coscienza ordinaria", che ho già definito altrove come "incoscienza controllata", accrescendo la capacità di riconoscere il valore della visione intesa come azione del vedere E apparizione di immagini che costituiscono nel loro insieme la realtà mondana. Non dubito del fatto che qualunque ricerca nel campo della "coscienza alterata", a partire dall'attività onirica all'intossicazione, alla meditazione trascendentale, possa produrre qualsiasi risultato più valido della completa indifferenza, o della sottomissione volontaria alle influenze esterne, a partire dai mass-media.

In ogni singolo istante della nostra esistenza in fondo al cielo, in cui una "realtà esterna" viene percepita attraverso la mutazione di onde elettromagnetiche in uno spazio virtuale, e trasmessa ad un Centro in cui la forma grossolana mantiene la Essenza dell'essere definito "sé" (coscienza, psiche, anima, etc., oppure anche "dio") possiamo riconoscere la nostra appartenenza all'Uno soltanto riconoscendo tali variazioni come indifferenti rispetto al Centro stesso; manifestazioni di una natura che condividiamo attraverso la sua sola conoscenza, che in effetti ri-conosciamo come tali senza averne una conoscenza certa e invariabile. Ri-conosciamo ogni cosa e tutto attraverso il pensiero logico, e in questo giace il segreto "divino" dell'Intelletto universale, in quello stesso termine che per i Greci definisce la parola, o logos. Guardiamo un abito appeso: sappiamo cos'è dal momento che conosciamo questa parola, abito, che non lascia dubbi sulla sua significazione all'interno dei nostri processi mentali. Per un bambino di pochi anni può essere invece una forma umana disabitata, che chissà come rimane sospesa in quel punto; se una folata di vento lo muove, è probabile che scoppi a piangere terrorizzato. E questo mi riporta a citare il mio vecchio adagio poco popolare, secondo il quale in fondo al cielo l'abito E' il monaco. Così noi siamo "forme" all'interno di una struttura frattale assimilabile alle proiezioni olografiche, un insieme animato dalla medesima fonte energetica (un astro, nella sua interazione con altri corpi celesti); una forma fisica (cioè, manifesta) che in vario grado è interessata da ed interessa ogni altra forma che viene percepita come esteriore. Perché tutti i più famosi santi, i grandi saggi, i maestri spirituali del passato, hanno sempre condotta un'esistenza in genere appartata, con una particolare simpatia per il ritiro, per la solitudine? Perché solo in queste condizioni è possibile ri-conoscere sé stessi, e ottenere da sé tutti gli indizi necessari per avvicinarsi al mistero che da sempre l'uomo rappresenta per sé stesso. Soltanto il Silenzio racchiude la verità, e nel silenzio soltanto essa si esprime ed è percepita nel mondo illusorio degli "abiti" che coprono le nudità ideali, le parole; non c'è parola in grado di esprimere una singola verità oltre la parola stessa, così come ogni simbolo antico rappresenta soltanto sé stesso; e questa è l'unica verità che riguardi la parola.

Il suono, in sé, è l'entimema che unsice il principio induista dell'Aum e, in una forma assai più sofisticata, il Verbo cattolico; esprime la medesima forza creatrice interiore dell'essere nella pronuncia della sillaba sacra, presso i monaci Tibetani, come nelle nenie cantilenanti e nei canti corali delle messe cristiane; le differenze sono mi pare altrettanto ovvie, quanto la forma delle distinte espressioni verbali, benché in entrambe si riconosca la possibilità del "divino" di esprimersi in particolari condizioni, ovvero nell'ambito della ritualità dedicata -guardacaso- all'ideale "divino". Qualunque parola può corrispondere a una qualunque verità, dal momento che ha luogo una associazione di forze ed intenti; nondimeno, una bugia ripetuta all'infinito e da tutti diventa verità nel mondo delle parole in cui viviamo Qui, e Ora.

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