22/10/09

Fuori, e dentro lo schermo

Ogni volta, una camminata forzata attraverso questa città è un calvario; non c'è nulla che possa apprezzare di un cumulo di case attraversato da strade piene di macchine; e non è possibile che gli abitanti di un posto simile mi possano piacere, a meno che non siano depressi cronici alienati, e il + possibile fumati; come lo sono io. Ma questo vale per ognuno di questi cumuli di nuove macerie che la gente chiama città, e di questa robaccia è pieno il mondo. Odio questo posto dal momento in cui ci ho messo piede, 27 anni fa. Ancora una volta, in un momento di vago realismo, non mi chiedo come ho fatto a resistere tanto, ma come riuscirò a farlo per altri 5 minuti; e ancora una volta lo posso fare solo scrivendo: questo.

Non è una grande prospettiva, quella di rimanere chiusi in casa pur di non vedere lo schifo che si ammucchia là fuori, giorno dopo giorno; ogni giorno una nuova automobile venduta, una nuova casa costruita. Un nuovo straniero immigrato. L'auto-reclusione non è una gran prospettiva ma è sempre l'unica possibile, da 27 anni a questa parte; per non vedere che gran mucchio di merda è questa città come ogni città, e che razza di merda deve essere la gente per rimanere a viverci senza mai cambiare nulla; per comprare una macchina, e una casa. Lavorando in cambio di pezzi di carta con cui sostenersi, ripararsi, prolificare; sfornare nuovi condannati alla medesima pena, all'infinito. Non è il grande sogno Americano, quello che vivono i nostri compatrioti moderni?
Resto del parere che a tutt'oggi soltanto Lynch è riuscito a mostrarne la realtà onirica, che non è l'"incubo" tra virgolette tratteggiato da Altman, ma l'Incubo maiuscolo di cui sono spettatore qui, nella estrema provincia del mondo, nelle lande coloniali. In un paese che assomiglia a uno stivale.

Ogni volta che sono costretto a uscire di qui, a camminare per queste strade infami, vorrei non avere nessun posto in cui tornare.
E poi mi ritrovo sempre qui; immerso nelle parole fino agli occhi.
Grazie all'internet il programma di evasione forzata è migliorato, ultimamente. Quello che un tempo era festivo e dispendioso, il Cinema, oggi è quotidiano e quasi-gratuito; e non impone il suo palinsesto, anche se a volte le scelte personali non sono migliori di quelle coercitive.
Oggi, non certo per caso, l'ennesimo Altro-Film, che non per caso tratta di "passato", come (guarda caso) quello di ieri, ma in forma di memorie scritte. Diari, appunto. Che è sinonimo di giornali, malgrado le nostre abitudini; perché io dovrei scrivere un "diario", che si scrive ogni dì, mentre solo i parolai di professione scrivono tutti i giorni su un un "giornale"?
Oppure anche, perché non un "diale", o un "giornario"?

Il film è l'ennesimo jigsaw cinematico:


The butterfly effect di E. Bress e J.M.Gruber
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e anche qui non c'è il più vago indizio di una interiorità lynchiana, non un richiamo all'unità filosofica, o stilistica, e tanto meno spirituale. Ma se non altro qui l'Altrezza non è di origine tecnologica, né controllata, e il possibile fattore supernaturale resta sottinteso nella messinscena; sono elementi che accomunano questa visione alla mia visione quotidiana, o diaria, di un incubo reiterato oltre ogni possibile sopportazione, quand'anche la mia umanità nel sostenerlo è ormai la prima cosa di cui dubitare.

In una manifestazione frattale, una regola primaria e proprio ciò che afferma la tagline di questo film, come ha modo di constatare il protagonista: "Change one thing, change everything"; ogni singola parte influisce sul tutto, in ogni sua modificazione. E' un caso filmico, quello in cui un dono o una maledizione permettono all'individuo di modificare il tutto a partire da un momento già trascorso, anche senza l'aiuto del Governo e di Val Kilmer; resta un caso squisitamente letterario, quello di chi non crede in alcun passato che non sia vegetale, e continua ad illudersi che Qui e Ora sia il suo istante, in cui guardare un incubo che non gli appartiene in alternativa al suo proprio; lo fanno in molti, da molto tempo, probabilmente da che è nata la scrittura, e con essa la parola "storia"; insomma, ancora una volta è la storia dell'uomo che vediamo rappresentata qui, in un modo o nell'altro, e sempre tanto + esattamente, quanto più la sceneggiatura cerca di essere incomprensibile. E ancora una volta, malgrado gli evidenti sforzi, non è abbastanza per competere con una fottuta mattinata qualsiasi, di questa vita da blogger.

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