19/03/10

C'era una volta il Cinema

Un grande film:

La belle et la bête di J. Cocteau (1946)
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che mi dimostra perfettamente come attraverso il suo percorso artistico "estremo" (abbiamo appena visto Le sang d'un poète etichettato come surrealista, in mancanza di meglio) Cocteau sia presto giunto ad una poetica cinematografica senza età, che trova lo scenario ideale nella messinscena della fiaba; perennemente giovane, e quindi assolutamente moderno ancora oggi, benché realizzato nello stesso periodo del tristissimo Sciuscià, una reliquia.

La belle et la bête è un capolavoro della cinematografia vera e propria, di immagine in movimento, nato dalla collaborazione di Cocteau con il Maestro Henri Alekan, che ancora sapeva incantare quarant'anni dopo con Wenders e il suo Der Himmel über Berlin;

Un film favoloso, in ogni senso; dark-horror che si sviluppa nella più delicata e toccante romance

in un'atmosfera onirica e incantata che richiama una sola idea: magia.
In questo caso, avrebbe detto lo stesso Cocteau, gioco di prestigio, come dimostra la sua antipatia per gli effetti ottici in favore di quelli più artigianali; ma credo che sia lecito anche parlare di alchimia, dal momento che il moto poetico dell'Autore sembra avere trascinato tutti i componenti della troupe e del cast, come loro stessi ricordano a distanza di mezzo secolo, in una dimensione fiabesca sospesa nel tempo e nello spazio

Il bundle pescato dal torrente filmico mi ha regalato qualche bella sorpresa, a partire da un breve documentario sul restauro della pellicola e del sonoro del 1995


a quello sulle riprese (le tournage)

Fino ad una impagabile intervista allo stesso Alekan -ormai ultra-ottuagenario- che ricorda come l'Autore gli consigliò di ispirarsi alle incisioni di Doré, poiché lui non voleva una "bella" luce in scena, ma la luce "giusta"; e come soltanto un Maestro può fare, Alekan la trovò puntualmente in ogni scena, ispirandosi anche ai grandi Fiamminghi


com'è patente in certe inquadrature.

E' difficile dire cosa sia la "luce giusta", fintanto che non si vede un film con la sua fotografia.
Infine, non possiamo dimenticare questo incredibile "animale da cinema" che fu Jean Marais

che aveva il physique du rôle necessario; ma era evidentemente conscio del valore dell'opera, e racconta di aver sopportate le interminabili sevizie quotidiane del trucco come un tributo da pagare al genio

La sua Bestia è una creatura nobile, inquieta e temibile nel contempo; la voce ruggente ma addolorata, la luce che lampeggia nei suoi occhi e l'uso che fa delle proprie mani, ridotte ad artigli criniti, lo rendono uno dei personaggi più affascinanti nella storia del cinema.

Jean Cocteau, René Clément, Henri Alekan, Georges Auric, Christian Bérard... Lo avrete capito, miei affezionati lettori; stiamo parlando di magia, di sogno, di fabula, e non si tratta di mera fantasia. Stiamo parlando di veri e propri fantasmi. Tutti quanti loro, ormai, appartengono ad un regno non meno favoloso di quello delle favole.

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