Avatar di J. Cameron (2009)
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senz'altro il più costoso, e quello che ha incassato di più. Se pensate (o Voi) che sia soltanto un caso per cui l'ho visto oggi, dopo che il post post-onirico ci ha portati a considerare degli avatara meno commerciali come quelli di Vishnu, probabilmente vi sbagliate; lo fareste anche pensando che la mia digressione verso i culti esotici sia stata in qualche modo veicolata dall'imminente visione, oppure che il sogno, con il suo enigmatico sguardo, sia stato ispirato dalla stessa.
L'unica certezza è che questo film, dopo la impressione del particolare episodio onirico, ci dà modo di riflettere ancora una volta sull'essere umani al di là di ogni apparenza fisica e, ricordando la mia decisione di prima in merito alla formulazione delle mie memorie virtuali, favorisce decisamente il protagonismo animale rispetto alla messinscena (in gergo esoterico, manifestazione) come risulta patente dalle fattezze -perlappunto- feline di questi "alieni".
Il film racconta di un popolo di "Uomini" (come si definiscono in genere gli appartenenti ad una società tribale) che accidentalmente abitano un altro pianeta, ma nondimeno hanno capelli abbastanza lunghi, archi e frecce, pitture di guerra e cavalcature abbastanza simili a quelli di certi terricoli del passato
sì che l'invasione da parte di quello stesso uomo bianco che ne segnò la fine -divenuto l' "Americano"- appare quasi inevitabile. Qui all'Americano tecnocrate del futuro si riconoscono qualità divine simili a quelle dei vari numi "incarnati" delle scritture Induiste (avatara) e nel contempo diaboliche, o demoniache, se consideriamo che la capacità di "abitare" un corpo altrui -seppure clonato- corrisponde ad una possessione. Comunque sia, nel ruolo di barbari invasori accecati dalla cupidigia e dal totale disprezzo della cultura aliena e dell'Ordine Naturale, gli Americani futuri insistono nell'esportare le loro specialità nazionali:
Morte
e Distruzione
in questa ennesima missione che se non altro non è classificata "di pace", come quella Medio-Orientale, ma è tutta incentrata sull'arraffamento di un "prezioso" minerale, il cui valore nel film è espresso soltanto in termini economici. Ancora una volta, il pensiero indipendente del singolo (un pericolo per il Sistema che è ormai quasi scongiurato) e il suo coraggio (derivato presumibilmente dalla sua condizione disperata di paraplegico), con il solito pizzico di romanticismo, finiranno per vincere la mostruosa macchina bellica. Va notato tra l'altro che l'Americano infiltrato fra questi strani Indiani (o Nativi Pandoriani) blu è l'unico ad avere la trovata geniale e vincente che "l'unione fa la forza"; e che alla fine sarà il suo
il dragone volante più grosso e cool di tutti; quello aerografato
(con la minaccia di un serial MTV del futuro, Pimp my Banshee).
Per quanto ci riguarda, al di là di tutto il possibile intrattenimento offerto da quest'opera -che è sufficiente- abbiamo la possibilità di osservare qui un esempio terra-terra (o pandora-pandora) dell' avatara prima della sua definitiva elisione superflua di derivazione cyber-punk che ne ha fatto un termine comune nel villaggio globale, e un titolo di enorme richiamo per le sue masse multimediate -- anche se, come possiamo constatare dal primo link, per gli anglofoni non sembra esserci alcuna differenza sostanziale tra i due. L'enorme sforzo produttivo di questo kolossale giocattolone che vanta le più sofisticate, elaborate e dispendiose tenniche di animazione digitale, ci consente appena di intuire i principi di quel trucco che a differenza del prestigio di natura umana non ha modo di essere svelato, e dunque è da considerarsi a tutti gli effetti magia (e lo è (stato) fintanto che non viene codificato -logicamente- in un dogma religioso) -- come potete constatare, evito accuratamente di assimilare l'etimologia di questo termine a qualche possibile radice derivata dal mito sanscrito.
Insomma, dopo 162' di immagini in cui sono ritratti tanti personaggi (ma anche animali, e paesaggi) assolutamente verosimili, ma generati da un computer, e trattando la storia di una sorta di metempsicosi controllata, possiamo sperare che ognuno sia in grado di avvicinarsi all'idea dell'Avatar(a) in sé e per sé come fa in genere il blogger (V.), in relazione alla propria (logo)sfera personale, di un esoscheletro che per gli alieni del film rappresenta la realtà fisica in fondo al cielo; e vedendo qui gli attori che prestano loro le espressioni facciali -ricordiamo l'etimologia della persona-
come essi stessi siano espressioni (creative, o artistiche) di una realtà trascendente, che sono solito definire Altro. E' senz'altro una chiave di lettura più stimolante, quella che offro ai miei affezionati lettori, di quella di un remake di Pocahontas con dei Deva gatteschi e spilungoni, o l'ennesimo apologo ecologista di una produzione madornale i cui guadagni stratosferici NON sono stati devoluti per una causa ecologica; ma del resto, nessuno saprebbe come spedire un assegno su Pandora... Le interessanti analogie visive del film -esaminate qui dalla rivista Focus- con un cartone animato italiano del 2001 potrebbero portarci ad un ulteriore deprezzamento dell'opera, ma anche qui ci troviamo di fronte ai grandi enimmi posti dal concetto jungiano dell' Archetipo, che proprio nell'idea dell'Avatar possono fornirci nuove e + stimolanti chiavi di lettura del nostro essere.
Se dovessi cercare di illustrare il ricordo di quegli occhi visti allo specchio questa mattina, il risultato migliore sarebbe quello che vedo proprio adesso qui sopra, nella parte sinistra del fotogramma, che tra l'altro sembra uno strano "riflesso" dell'umano in qualcosa d'Altro.
Un'ultima nota riguarda il termine inglese cat quando NON è riferito ad un gatto;
lo ricordiamo qui nelle parole della canzone di Cab Calloway Reefer Man: "Man what's the matter with that cat there?" inteso forse come An enthusiast or player of jazz, (ricordiamo gli AristoCats Disney, e la loro predilezione per questo genere) ma che in senso più generale è sinonimo di dude, guy, fella... In Avatar qualcuno menziona un "baddest cat" riferito ad un pilota di draghi volanti, probabilmente senza alludere al suo aspetto fisico; in Inglese, insomma, chiunque è un gatto.
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